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Mons. Mosconi Vescovo a Comacchio, tra miseria e Verità nella Carità

15 Set

Il nuovo volume di Alberto Fogli racconta l’episcopato in quella che nei primi anni ’50 era una delle Diocesi più povere d’Italia.Il ritratto di un pastore che ha lasciato il segno

di Andrea Musacci

Le cene durante il Concilio con Montini e Ratzinger, il rischio di finire in un campo di concentramento, il pranzo assieme a 400 poveri. Sono solo alcuni aneddoti riguardanti mons. Natale Mosconi, Vescovo di Comacchio dal 1951 al 1954 e poi di Ferrara fino al 1976. 

Questa complessa personalità è delineata nell’ottimo libro in uscita dal titolo “Natale Mosconi. Il vescovo del paludoso Delta Padano e della riforma agraria” (Ediz. San Paolo, 2023). Il volume di Alfredo Alberto Fogli, con la prefazione del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, come si evince dal titolo si concentra sul Mosconi Vescovo di Comacchio (dove tornò dal ’69 come Amministratore Apostolico). Un triennio particolarmente intenso quello nell’allora «Diocesi più povera d’Italia», iniziato con l’avvio della bonifica da parte dell’Ente Delta Padano di un territorio di 21.000 ettari che darà lavoro a numerosi braccianti agricoli locali e veneti. Da qui, il problema della casa, del lavoro, delle scuole e degli asili per questa povera gente. La riforma agraria come necessità, e poi, sempre nel ’51, la tremenda alluvione nel Polesine. E la nascita del Settimanale della Diocesi, “La Croce”.

VERITÀ E CARITÀ TRA LORO FUSE

Fogli nel suo volume riflette in modo particolare su come nell’episcopato di Mosconi fossero fra loro intrecciate Verità e Carità: «sapeva soffrire per la povertà della sua gente, povertà alla quale non riusciva a rassegnarsi ed era inflessibile nei confronti della mancanza di Carità e dell’indifferenza verso la Verità rivelata (“Caritas in Veritate” cinquant’anni prima!..). La sua formazione lo vedeva molto vicino alle posizioni pastorali di don Primo Mazzolari». Mons. Mosconi era «specialmente e sopra tutto, un assertore e difensore della verità cristiana, che riteneva l’unica via per salvare l’uomo e la Società dalla inevitabile disgregazione morale e spirituale». L’analisi dei mali della società contemporanea era spesso impietosa: il mondo attuale – scriveva il Vescovo – «è un mondo di infermi che non conoscono le loro infermità. Sono anime ammalate ingannate da Satana, dai sensi, dalle ideologie del mondo. Bisogna salvarle queste povere anime, ma per salvare le anime bisogna soffrire con le anime». Ancora una volta, dunque, nessun altezzoso distacco ma tanto la franchezza quanto la com-passione di un Vescovo. «Lavorerò», «pregherò» e «soffrirò con voi», disse al suo arrivo a Comacchio.

CONTRO IL FASCISMO

La personalità e il coraggio dell’annuncio di certo non mancavano nemmeno al giovane Mosconi, prete nella Diocesi di Cremona. Nel 1936 viene incaricato della direzione del Settimanale della Chiesa locale. Fin da subito, scrive parole dure contro il nazismo. «Mosconi scrive come parla: martellante, su un’opinione pubblica sempre più divisa tra consenso e dissenso. Inevitabile lo scontro con il regime fascista di Farinacci. Donde le polemiche, le diffide, ed i minacciati sequestri che giungono nel 1937». Tra i suoi collaboratori vi è don Primo Mazzolari: «due penne di primo piano del cattolicesimo cremonese. Giornalisti scomodi e rocciosi. Il primo sequestro del settimanale avviene il 5 marzo 1937». 

Fogli cita un ricordo dell’ex segretario particolare di Mosconi, una confidenza dello stesso Vescovo: «dopo gli inutili interventi e sequestri del settimanale diocesano, Farinacci aveva deciso l’arresto e l’internamento in campo di concentramento del direttore Mosconi. L’intervento deciso e determinato del card. Ildefonso Schuster risolse la spiacevole situazione. Ma don Natale deve lasciare la direzione del giornale. Anche parte del clero cremonese lo vuole. La parte più collusa con il regime». E negli anni della guerra (1940-45) don Mosconi sarà protagonista della Resistenza dei cattolici cremonesi al regime fascista e alla repubblica di Salò.

MISERIA E DIGNITÀ DI UN POPOLO

«Va in una terra di grande miseria quale lei non ha mai visto. Situazione cancrenosa. La gente di Comacchio non ha più speranza. Non crede nella solidarietà sociale». Con queste parole schiette, Pio XII assegna l’incarico a mons. Mosconi. Scrive Fogli: «qui mancavano attività commerciali, artigianali e industriali. Tutto si riduceva all’agricoltura, per lo più gestita da grosse società, e alla pesca valliva e marina. Ma anche questa opportunità di lavoro risultava precaria e saltuaria e anche poco pagata. Le valli erano gestite da Consorzi e dal Comune offrendo ai più, lavoro di tipo stagionale. Il pesce era il cibo dei poveri i quali, per sfamare le loro famiglie spesso numerose, ricorrevano alla pesca di frodo». In molte zone della Diocesi comacchiese «scarseggiavano persino l’acqua e l’elettricità. Le abitazioni erano misere, malsane e insufficienti per il numero dei componenti la famiglia. È così che questa parte del mondo ferrarese veniva accostata alle zone più povere del meridione italiano». 

Per questo, mons. Mosconi sul Bollettino diocesano parla di «terra di missione»: «perché la parrocchia dove esiste non influisce che in piccolissima proporzione sulla massa degli abitanti; per l’abbandono pauroso in cui tante zone sono state lasciate; per la mancanza di quel minimum di fattori di civiltà che sono insieme elementi essenziali di vita: acqua e case e imprese».

Da qui, nascerà anche l’idea di un nuovo seminario, inaugurato «non con taglio di nastri, ma con un pranzo offerto a quattrocento poveri perché un seminario nato dalla carità doveva inaugurarsi con un atto di amore ai poveri». E lo stabile del vecchio seminario decide di trasformarlo in un orfanotrofio per i ragazzi di sesso maschile di età compresa fra i 6 e i 14 anni (ne esisteva già uno per le bambine).

Mosconi, inoltre, «appoggia il progetto di bonifica delle terre vallive e preme perché parta presto. Si impegna a fondo perché l’acqua potabile arrivi in tutte le famiglie sia pure attraverso una forma primaria di approvvigionamento. Favorisce lo sviluppo di una nuova coscienza sociale improntata alla reciproca solidarietà in cui ciascuno si senta prossimo secondo il dettato evangelico. Predica contro i cattivi costumi sociali e contro le strutture che li sostengono senza mai condannare le singole persone». E difende la riforma agraria, una riforma «capace di cambiare una strana situazione che vedeva alcune multinazionali, autentiche proprietarie dei terreni coltivabili, lasciare fuori da ogni prospettiva di miglioramento economico e da possibilità di un lavoro a conduzione in proprio, migliaia di agricoltori». Un esperimento concreto di «civiltà contadina cristiana», con borgate rurali dove ci fossero, oltre le case, chiesa, asilo, scuola, bar e sede della cooperativa.

DAI “NO” A PAOLO VI AL MOCCOLO DEI BAMBINI

«Temperamento focoso e inquieto, mai domo, molto severo con sé stesso e con gli altri. Esigente e volitivo come nessuno. Determinato fino alla testardaggine. Autorevole e a volte autoritario fino all’antipatia ma sempre disposto a scusarsi se comprendeva di avere umiliato qualcuno». Così, Alberto Fogli abbozza il carattere del Vescovo Mosconi, in un volume dove non mancano anche aneddoti interessanti. Come quelli sul rapporto con Montini/Paolo VI: «Una stima talmente profonda che – afferma l’ex segretario di Mosconi, mons. Guido Rossi – durante il Concilio li vedeva a cena insieme due volte la settimana. (…) Una stima che si espresse da parte di papa Paolo VI, prosegue mons. Rossi, con l’offerta dell’incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Mons. Mosconi declinò l’offerta affermando che lui era fatto per essere vescovo diocesano e non per la Curia. Nel 1965, poi, papa Montini gli offrì la cattedra arcivescovile di Torino. Mosconi accettò ma a condizione di non essere nominato cardinale. E ciò impedì il suo trasferimento». Ancora mons. Rossi raccontava: «durante lo svolgimento del Concilio don Ratzinger venne a pranzo almeno dieci volte da mons. Mosconi presso le Carmelitane di Monte Mario dove soggiornavamo». «Un giorno don Joseph mi disse: “ha un arcivescovo intelligentissimo, di una cultura rara”». 

Ma in quelle cene romane con due futuri Pontefici c’era lo stesso Mosconi capace di “abbassarsi” – anche letteralmente – ai più piccoli. Scrive Fogli: «spesso, passando per le vie di Comacchio (o di altre località diocesane), gli piaceva intrattenersi con le persone, specie anziane, ammalate, povere e con ragazzi e bambini. Non di rado notava questi ultimi con vestiti in disordine, scarpe slacciate e moccolo al naso. Allora si fermava, distribuiva loro qualche caramella e prima di riprenderli, si coricava ad allacciare le scarpe e a soffiare loro il naso ed a correggerli amabilmente con un gesto affettuoso, accorto e un po’ accorato». 

Pubblicato sulla “Voce” del 15 settembre 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

A Comacchio 500 persone per la Festa del Corpo e Sangue di Cristo

12 Giu

La Diocesi unita in processione: Il racconto di una serata indimenticabile. Una marea di persone, i momenti salienti, le preghiere delle comunità, i volti  della Chiesa

di Andrea Musacci

Pane di vita, pane frutto della terra, pane che illumina il mondo e lo redime. Corpo e Sangue che passa per le vie della città, fra i canali, portando speranza fra le angustie della gente, nelle sofferenze e nei rimpianti nascosti dietro gli usci delle case. 

Quelle case della città di Comacchio che la sera dell’8 giugno scorso ha accolto, dopo tanti anni, la Festa diocesana del Corpus Domini. Una luce nelle tenebre del mondo, nelle vie – segnate dai ceri degli oltre 500 presenti – di una città che fa della bellezza e dell’orgoglio della sua storia la sua cifra, nonostante le contraddizioni. Ma che ancora una volta ha dimostrato un profondo senso di comunità e una forte devozione.

SANTA MESSA NELLA CONCATTEDRALE

La serata è iniziata con il corteo dei sacerdoti (una 70ina, oltre a una 20ina fra diaconi e accoliti) dal teatrino parrocchiale fino alla Concattedrale dove mons. Gian Carlo Perego ha presieduto la Solenne Concelebrazione prima dell’inizio della processione. Un’organizzazione complessa per un evento preparato nei minimi dettagli sotto la supervisione di don Giuliano Scotton aiutato in particolare da due giovani parrocchiani, Giulia Stella e Fabio Bellotti, che hanno anche fatto le due letture della Messa.

Messa che vedeva nelle prime file, oltre alle autorità militari (e due carabinieri in alta uniforme in rappresentanza davanti all’altare), il Comandante della Capitaneria di porto di Porto Garibaldi, l’Assessora di Comacchio Rosanna Cinti, la Sindaca di Goro Maria Brugnoli, rappresentanti di varie associazioni, come la Consulta Popolare San Camillo, “Insieme per l’infanzia” (che gestisce la Materna del Duomo), Conferenza femminile S. Vincenzo de Paoli, Unitalsi Comacchio, Unitalsi Ferrara, Azione Cattolica, Orsoline del Duomo e le sorelle dell’Opus Mariae Reginae della Parrocchia del Rosario. Il servizio liturgico è stato curato da un gruppo di ministranti del Duomo e da Carlo Leone e Aronne Feletti, accoliti della parrocchia. La Celebrazione ha visto i canti del Coro San Cassiano della Concattedrale e di alcuni coristi di altre parrocchie.

I tanti sacerdoti presenti sono stati distribuiti soprattutto nelle due cappelle laterali all’altare (davanti agli altari della Madonna del Buon Consiglio e di San Giuseppe).

LA PROCESSIONE E LE PREGHIERE

Dopo la Messa, al via il lungo corteo col Santissimo portato dall’Arcivescovo sotto il baldacchino sostenuto dagli Scout Europa – gruppo Comacchio 1 di Aula Regia. La processione, scandita dalle musiche della Banda di Cona, ha visto le letture dei testi ripresi dal Congresso Eucaristico di Matera dello scorso settembre, letti dai delegati diocesani che hanno partecipato al Congresso stesso.

Durante il corteo, che ha visto la presenza di numerosi drappi rossi alle finestre, ci sono state tre “fermate”, nelle quali mons. Perego ha impartito la benedizione: al mare e alle valli di Comacchio (dal ponte di San Pietro venendo da via Spina), alla città di Comacchio (dai Trepponti), e davanti al Municipio, luogo simbolo della comunità.

Ricordiamo che il corteo ha attraversato le vie Zappata, Spina, Trepponti, p.tta Barboncini, via Agatopisto, della Pescheria, Muratori, piazza V. Folegatti, p.tta U. Bassi, piazza XX Settembre.

Per l’occasione, è stato chiesto a ogni gruppo, associazione e movimenti presente nella nostra Arcidiocesi di scrivere un’intenzione di preghiera da leggere durante la processione.

Le intenzioni di preghiera sono state redatte per l’occasione da alcune associazioni e movimenti della nostra Arcidiocesi: Associazione “Suor M. Veronica del SS. Sacramento”, MASCI, AGESCI, Comunione e Liberazione, CVX SS. Pietro e Paolo. Fra le preghiere, quella per i giovani («perché con coraggio prendano in mano la loro vita, mirino alle cose più belle e più profonde e conservino sempre un cuore libero»), per i movimenti («possano crescere nell’amore a Cristo, nella fedeltà alla Chiesa, nella testimonianza di fede»), i governanti, per la Chiesa «popolo in cammino».

LE PAROLE DEL VESCOVO

La festa dell’8 giugno ha rappresentato anche la conclusione del cammino del Biennio Eucaristico nella nostra Diocesi, iniziato il 28 marzo 2021 con l’apertura dell’anno giubilare a S. Maria in Vado in occasione del 850° anniversario del miracolo eucaristico del Sangue prodigioso. Lo ha ricordato lo stesso mons. Perego nella sua omelia, nella quale così ha riflettuto: «La nostra vita vede troppe relazioni già segnate dalla fretta, dall’improvvisazione, dall’occasionalità. L’adorazione eucaristica ci ricorda che a tavola, in Chiesa con il Signore e con i fratelli e le sorelle siamo a casa, in famiglia. Regaliamoci questi incontri di adorazione. È stato un dono che questo biennio sia stato attraversato dalla pandemia – ha proseguito -, in cui anche la lontananza dall’Eucaristia in alcune occasioni ci ha ridato il gusto del pane di vita, aiutandoci a sentire ancora più presente il Signore e a soffrire la sua assenza. Ora continuiamo il nostro cammino sulle strade del mondo, nelle nostre città e nei nostri paesi in compagnia del Signore, facendo nostro l’invito dei primi cristiani: “senza la Domenica non possiamo vivere”, “senza l’Eucaristia non possiamo vivere”, in attesa della Domenica senza tramonto, della vita eterna».

«L’Eucaristia è un dono, un dono da non sprecare», ha detto in un altro passaggio. «Troppe volte l’abitudine di accostarci all’Eucaristia non ci aiuta a coglierne l’importanza “per la vita del mondo”. Il mondo ha fame. Non manca solo il pane sulla tavola a tante persone, ma manca anche la consapevolezza del dono del pane di Vita.  L’Eucaristia è pane di vita».

«L’Eucaristia – sono state ancora sue parole – non è un dono esclusivo, ma per tutti, per tutti coloro che desiderano incontrarlo, ma anche per tutti coloro che restano lontani. Nella processione eucaristica ricordiamo questo desiderio del Signore di incontrare tutti. L’Eucaristia educa la Chiesa e noi cristiani ad essere veramente “cattolici”, cioè capaci di essere aperti a tutti. L’Eucaristia è una porta aperta sul mondo».

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 16 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Diario di un prete di Comacchio nella tempesta di inizio ‘900

10 Giu

Le memorie di don Antonio Fogli sono state trascritte e pubblicate da Maurizio Marcialis in un libro: il sacerdote racconta la politica, la fame, la guerra e la fede di un popolo

di Andrea Musacci

Quel grande guazzabuglio che è stata l’Italia di inizio Novecento, con le sue passioni divoranti, la guerra che falciava vite, le epidemie, la sorda miseria, gli embrioni dei grandi partiti politici. E la fede in Cristo che non muore, pur iniziando a vivere come sotto assedio, odorando l’arrivo dell’ateismo diffuso.

A volte è più utile un diario personale che un pur più preciso e obiettivo manuale di storia, a descrivere tutto ciò. Per questo, i diari ritrovati del canonico comacchiese Antonio Fogli sono un documento alquanto prezioso, perché testimonianza non solo dei fatti storici, locali, nazionali e mondiali, ma anche un documento importante per capire la visione del mondo di un anziano prete a contatto con le miserie del suo tempo.

È grazie all’architetto Maurizio Marcialis, che questi diari sono stati editi nel volume “Diario di un curato di valle. Dal 1900 al 1921 del Canonico Antonio Fogli” (Gruppo Editoriale Lumi, 2020). L’autore ha presentato il libro lo scorso 29 maggio nella Biblioteca Ariostea di Ferrara assieme a Diego Cavallina e Alberto Lazzarini, quest’ultimo prefatore assieme ad Aniello Zamboni.

Marcialis ha ritrovato casualmente il manoscritto oltre 20 anni fa in un mercatino invernale a Cesena, trascrivendolo con minuzia durante il lockdown di tre anni fa. Nato nel 1842 a Comacchio, dove muore nel 1938, don Fogli – secondo di otto figli – viene ordinato sacerdote a Ravenna nel ’65. Nella sua città sarà canonico dopo esser stato arciprete a Mesola, Goro e Gorino, e poi a Codigoro.

Nel 1900 il sacerdote inizia il proprio diario già prevedendo i tumulti che investiranno anche la sua terra: «Dal 1899 al 1900 nella mezzanotte in tutte le cattedrali e chiese parrocchiali del mondo cattolico si cantò la messa e il Tedeum. Nei primi dell’anno fu innalberato su i principali monti il vessillo della Croce e in molti luoghi elevati la statua del Redentore. Ah! Si prevedeva che nella corrottissima società si sarebbero svolti fatti eccezionali: epperciò fin da allora si scongiurava la divina Misericordia a salvare religione e società dal massimo pericolo».

L’ODIO POLITICO: DALLE VIOLENZE SOCIALISTE ALL’ARRIVO DEL FASCISMO

Un umile, pur dotto, prete di provincia, non poteva non avere una visione del movimento socialista esclusivamente come ateista e dedito alla violenza contro l’ordine costituito. Sua fonte, dalla quale a volte ritagliava anche articoli che inseriva nel proprio diario, era il giornale cattolico locale “La Domenica dell’operaio”. Nel 1912 a Comacchio viene linciato Demetrio Faccani, guardia valliva proveniente da Alfonsine. Don Fogli ne parla così: «Lo sciopero indetto dalla brutta peste dei Socialisti, che raccogliendo il fango delle piazze si nutriva di passioni e di odi feroci, si convertì in atto sanguinesco di crudeltà». Nel 1919 scrive: «I socialisti fanno dovunque atti di violenza contro le persone dabbene, contro il Clero, contro le Chiese e seminano contro le più sacre funzioni lo scompiglio e perfino le morti. Quasi la nazione viveva meglio nel tempo della guerra, se la perdita di tanti carissimi giovani non l’avesse addolorata». 

Nel 1919 si affaccia la speranza grazie al neonato Partito Popolare Italiano: «Un partito però dell’ordine che richiamava i principi cristiani sorse per incanto e, sebben bambino, e contrastato con tutte le arti maligne prese un posto dignitoso sorpassando per numero gli altri partiti e mettendosi di fronte ai Socialisti». 

Ma nel febbraio del ’21, vede nel nascente squadrismo fascista una reazione giustificata alle violenze socialiste: «I grandi soprusi, le soverchierie, le barbarie commesse dai socialisti, che hanno innalzato il regno del terrore» nel nostro Paese, e che il governo «è impotente ormai a frenare: ha fatto sì che nei popoli è nata una reazione contro di loro e per bisogno di difendere la libertà sono sorti i fascisti». Ma poco dopo avrà modo, almeno in parte, di ricredersi: «Introdottisi nei fascisti degli elementi sovversivi, e può dirsi anche criminabili, non si fermò più il fascismo alla giusta difesa del popolo e de’ suoi diritti, ma a sfogare con violenza gli odi personali». Nell’agosto dello stesso anno scrive: gli uomini «non ascoltano sacerdoti, anzi li guardano come nemici: non vanno più in chiesa, epperciò il Signore li abbandona ai loro partiti diabolici».

LA CARNEFICINA DELLA GUERRA

Don Fogli vive la guerra innanzitutto come peste che distrugge le vite della povera gente, costretta a partecipare al massacro, o di cui ne subisce le conseguenze. Non manca però il sentimento nazionalista; l’Austria, scrive, «teneva la nostra penisola come una serva da strapazzo». 

Ma il 6 luglio 1915 accenna a un episodio che ben spiega il clima bellico: «Alle 15 vengono arrestati tutti i frati del Convento dei Cappuccini e scortati a Ferrara sotto l’iniqua imputazione di fare segnalazioni al nemico». Don Fogli incolpa di ciò «la camorra brutale della massoneria». I frati verranno liberati senza processo 24 giorni dopo.

Nelle sue memorie accenna anche ai bombardamenti nemici, come quello nel 1916 a Codogoro: «altra barbarie» commesse dagli austriaci «con l’intenzione malefica» di bombardare l’idrovora e il vicino zuccherificio. Morirono 5 persone fra cui una bambina, 2 i feriti. Nel giugno ’17 riporta di altre incursioni aeree sopra Codigoro e poi sopra Comacchio: gli aerei nemici «li abbiamo veduto girarci sopra: ma anche in tal occasione la Madonna ci ha salvato: e a quegli uccellacci, portatori di rovine e morte, ha intimato: vade retro satana». Il 4 novembre 1918, con l’armistizio di Villa Giusti che sancì la resa dell’Impero austro-ungarico all’Italia, finisce la guerra: «vittoria grande incredibile» dell’Italia sull’Austria, scrive il sacerdote. L’Austria «ha abbassato la sua testa grifagna» davanti al nostro Paese. 

LA MISERIA: «TUTTO È SECCO, TUTTO MUORE»

La tragedia del conflitto mondiale, unita all’inclemenza della terra, gettano il suo popolo nella povertà più assoluta. Nel luglio 1916 scrive della siccità: «Sono tre mesi dacché non piove (…). Tutto è secco, tutto muore. Frumentone è andato, faggioli sono perduti: muoiono disseccati perfin gli alberi, e alle viti crolla l’uva». Mentre a novembre dello stesso anno, è l’esatto contrario: «Rovesci di pioggia continua han fatto temere rotte ed ancora non siamo fuori di pericolo. Burrasche di mare prodotte da fortissimi scirocchi hanno portato le onde sopra le dune di Magnavacca». A gennaio ’17, una nuova inondazione: «Quasi tutti i piani terreni delle case hanno l’acqua dentro».

A ciò si aggiungerà l’epidemia di spagnola tra il ‘17 e il ’18, che «sempre più infierisce e miete giovani vittime (…). Si indicano preparativi, disinfettanti. (…) Conseguenza della guerra! (…)». Le precauzioni ricordano, pur con le dovute differenze, ciò che abbiamo vissuto col Covid: le limitazioni di movimento e di assembramento, il divieto di stringersi la mano, i consigli ad arieggiare frequentemente le abitazioni, a proteggere gli ammalati, a rimanere in casa per ogni minima indisposizione, a fare lunghi periodi di convalescenza.

La guerra farà il resto; a fine 1916 scrive: «Decreti sopra decreti limitano i generi più necessari. La carne, i salumi non si possono vendere che tre volte la settimana: le ova si vendono in Comune; il latte è requisito. Il pane non si può mangiare che vecchio. Vino non ce n’è più e solo un poco a £2 il boccale. L’acqua scende e minaccia innondazione (…). La caccia è proibita (…). La pesca di mare è proibita. Poi notizie sempre dolorose e mai un barlume che accenni la pace. O gran Dio salvaci da tante torture!». 

MARIA, MADRE NOSTRA, AIUTACI!

Quella «divina Misericordia» implorata a inizio secolo, sarà sempre presente nel suo cuore, come in quello della sua gente. Nel maggio del ’17, di fronte a così tanti orrori e tragedie, racconta di come «nel popolo comacchiese sorse il desiderio ardente di muovere la vetustissima e sempre venerata immagine di Maria SS.ma in Aula Regia». Ma il Vescovo non poteva permetterlo dato il divieto, in tempo di guerra, di processioni pubbliche. Si decise, quindi, di portarla in Duomo a mezzanotte del 30, di nascosto, scortata dai carabinieri. «Nonostante però tali precauzioni molta parte della popolazione ne aspettò il trasporto che arrivato alle porte della cattedrale, eruppe da ogni petto il grido di “Evviva Maria”».

Un episodio che dice, a distanza di un secolo, di come la devozione popolare, la fede mai sradicata dall’anima del nostro popolo, in tempi bui possa essere, ancora, l’estremo rifugio, l’unica vera àncora di salvezza.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 9 giugno 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto: bambini sul Ponte Pizzetti, posto di lato alla facciata della chiesa del Carmine, nel 1920. Grazie a Maurizio Marcialis)

Un nuovo Delta del Po per la rinascita dell’intera provincia

8 Nov


L’insediamenteo di Massenzatica
(Foto di Filippo Pesaresi per il Consorzio Uomini Massenzatica)

Il “Laboratorio Agro-Ambientale per il Delta del Po” sarà presentato il 12 novembre a Comacchio. Il Consorzio Uomini di Massenzatica cuore di questo ambizioso progetto di riconversione ecologica


A cura di Andrea Musacci
Un grande piano di riconversione ambientale nel territorio del Delta del Po, l’area umida più grande d’Italia, un grande laboratorio agroambientale dove sperimentare pratiche paesaggistiche e culturali virtuose, con al centro il Consorzio Uomini di Massenzatica (CUM).

È questo il progetto di valenza europea per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici che verrà presentato venerdì 12 novembre a Comacchio, un piano strategico commissionato nei mesi scorsi dal CUM a LAND Italia srl, prestigioso studio internazionale di architettura e progettazione con sede a Milano fondato e diretto da Andreas Kipar, che il 12 a Palazzo Bellini illustrerà il lavoro svolto.Il progetto intende definire una strategia di interventi e azioni progettuali per la valorizzazione sostenibile di questo territorio caratterizzato da condizioni paesaggistiche, ambientali e culturali uniche. Nello specifico, si propone la creazione di un’infrastruttura verde ecologico-produttiva di 63 km, da Chioggia a Comacchio, con il CUM come epicentro, territorio pilota del laboratorio. 

Un’infrastruttura che segue le antiche linee di costa e che in particolare prende in considerazione la zona tra il Po di Volano e quello di Primaro, immaginando corridoi della natura e una rinnovata produzione agro-ambientale (pensata fino al 2050), attraverso la reintroduzione di fasce ecotonali – spazi intermedi tra due ecosistemi – per combattere l’impoverimento paesaggistico, ricombinando natura e agricoltura, biodiversità e produzione agricola, puntando sull’agro-ecologia, l’agro-forestazione e l’agricoltura ad “alto valore naturale aggiunto”, con l’aumento della biodiversità, la diversificazione degli habitat e l’aumento degli impollinatori. Tutto ciò in alternativa alle meno produttive monoculture. Pratiche virtuose, queste, che la Politica Agricola Comunitaria dell’Unione Europea finanzierà nei prossimi anni attraverso i suoi programmi, il PAC – Politica Agricola Comune 2021-2027 e il PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del Next Generation EU. 

Il Delta del Po, come emerge in maniera chiara dallo studio, si trova nell’area più industrializzata, urbanizzata e inquinata d’Italia. Si tratta di un territorio fragile e a bassa densità insediativa, con un alto tasso di salinità, dove incombenti sono l’innalzamento del livello del mare fino a 2 metri, il rischio alluvioni, di subsidenza (il lento e progressivo sprofondamento del bacino marino e dell’area continentale), la desertificazione e l’innalzamento del livello dei mari. Un territorio “rurale-periferico” negli anni sempre più marginalizzato dal processo di sviluppo. Un’analisi impietosa che, se presa in seria e urgente considerazione, può trasformare il Delta in un’area di grande produttività agricola e di forte rilevanza ecologica e culturale. Solo l’area-pilota dove si trova il CUM, di 13.000 ettari, si è stimato potrebbe generare fino a 25 milioni di euro di benefici diretti ed indiretti all’anno. E l’intero Delta può rappresentare una zona in transizione verso un nuovo paesaggio agricolo-naturalistico con un potenziale stimato di 2 milioni di alberi.


Carlo Ragazzi (CUM): «dono e comunità contro la logica del profitto»

Carlo Ragazzi è il Presidente del Consorzio degli Uomini di Massenzatica (CUM), proprietà collettiva di 353 ettari (all’interno del Comune di Mesola) rappresentante attualmente circa 600 famiglie, ciascuna con diritto al voto nelle decisioni del Consorzio.

Con “La Voce” riflette su un progetto così significativo. «La nostra è una comunità proprietaria di un pezzo di terra che ha scelto di autonormarsi e di donare parte degli utili e delle risorse alla comunità. Dalla nostra nascita nel 1994 abbiamo sempre posto al centro la cultura del dono al territorio. Il nostro è un modello che dal punto di vista sociale ed economico va a confutare molte teorie fondate sul profitto e la finanziarizzazione, smentite anche dalle ripetute crisi degli ultimi 15 anni». «Oggi – prosegue – l’intero Delta del Po è un grande volano economico per la nostra Provincia: da un’agricoltura intensiva, basata sulla rendita, il latifondo, la monocultura è necessario passare a un’agricoltura fondata sul capitale circolante e la rotazione delle colture. Un’agricoltura dinamica dove il lavoro è ancora centrale». Il CUM si pone quindi come modello virtuoso al servizio del territorio, «per ricucire la frattura creatasi nel secolo scorso tra città e campagna. Il futuro della stessa città sta, dunque, nel riappropriarsi della propria campagna come elemento di rigenerazione a tutti i livelli, anche spirituale e psicofisica». Il Delta del Po, non dimentichiamolo, è ad esempio fondamentale per l’equilibrio idrico dell’intero territorio provinciale. «Un intervento così importante – conclude Ragazzi – non può essere lasciato agli umori o alle opinioni di singoli docenti, ma va analizzato nella sua globalità, con un approccio interdisciplinare e strategico».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 12 novembre 2021

https://www.lavocediferrara.it/

Una vita donata per il popolo di Dio: festa per i cinque nuovi sacerdoti

23 Set

Tanta gente a Comacchio il 21 settembre per le ordinazioni di don Luciano, don Alessio, don Fabio, don Giuliano e don German, in occasione dell’apertura dell’anno giubilare nel IV centenario dall’incoronazione di S. Maria in Aula regia. Annunciate le destinazioni dei nuovi presbiteri: Ferrara, Mesola, Comacchio, San Martino, Ro-Tamara-Saletta

OLYMPUS DIGITAL CAMERAUna profonda commozione e una gioia sommessa illuminavano gli occhi dei cinque nuovi presbiteri di Ferrara-Comacchio. Circondati dal calore e dalla preghiera di amici, famigliari e di tanti fedeli accorsi, nel pomeriggio di sabato 21 settembre don Luciano Camola, don Fabio Dalboni, don German Diaz Guerra, don Alessio Di Francesca e don Giuliano Scotton sono stati ordinati sacerdoti dall’Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego. E’ stata Comacchio la sede scelta per questo avvenimento, che si può definire storico per la nostra comunità ecclesiale, nella Solennità di Santa Maria in Aula Regia, in contemporanea con l’apertura solenne dell’Anno Giubilare nel IV centenario dell’incoronazione dell’effigie. Un lungo corteo, partendo proprio dal Santuario di S. Maria in Aula Regia (dove è stato pronunciato l’atto di affidamento alla B. Vergine Maria), si è mosso in processione verso la Basilica Concattedrale, dove alle ore 17 ha preso avvio la S. Messa per l’ordinazione, accompagnata dai canti del coro formato dai due cori di Comacchio, oltre a due “esterni”, tra cui l’organista. Com’è stato annunciato in Aula Regia, per l’anno giubilare sarà possibile lucrare l’indulgenza plenaria visitando il Santuario e recitando il Credo. Nell’omelia nella Concattedrale, il nostro Vescovo ha invitato i cinque ordinandi a lasciarsi “accompagnare da Dio”: “lasciatevi prendere per mano da Lui, soprattutto nelle situazioni di difficoltà – ha detto loro -, ma anche nei giorni di festa”, e “sentite il presbiterio come un luogo fraterno, costituito da persone con volti e storie diverse, ma ricco di umanità e spiritualità, rafforzatelo con ’legami di fraternità e amicizia’; e – sono ancora parole di mons. Perego – sentite il Vescovo come un fratello maggiore e il padre che cammina e corre con voi, vi incoraggia in questi tempi difficili, vi stimola. Tutti siamo presi dal popolo e mandati al popolo di Dio. E nel popolo di Dio siamo chiamati a crescere in un ministero che sappia discernere i segni dei tempi, che sono i segni con cui Dio ci parla oggi, adesso”. Riguardo ai sacramenti, “riconoscendo anche il male nella Riconciliazione, ’senza rigorismi né lassismi’, siate”, da presbiteri, “custodi non di un morto, ma di un uomo vivo, del Figlio di Dio. L’Eucaristia è il sacramento della vita e da oggi voi siete chiamati a metterla al centro della vostra vita. Ripetendo ogni giorno le parole della consacrazione ricordate sempre che quel pane, quella reale e concreta presenza di Dio tra noi è ’per noi e per tutti’. Dalla celebrazione eucaristica – ha proseguito il Vescovo – nessuno è escluso: tutti si presentano davanti al pane di vita, si lasciano interrogare dal pane di vita, si lasciano giudicare dal pane di vita. Siamo chiamati a custodire la realtà della presenza del Signore morto e risorto nell’ Eucaristia, ma anche lasciarci informare, trasformare da questa presenza. L’Eucaristia è ‘forma’ della nostra vita”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA“Scegliere il servizio – ha poi proseguito – significa scegliere la libertà, svincolati da programmi, desideri, attese che ci costruiamo indipendentemente dalla realtà e dalla vita degli altri, dalle gioie e dalle speranze, dalle tristezze e dalle angosce della gente, soprattutto della povera gente”. Un pensiero è andato anche alla Madre di Dio: “anche voi, come Maria, cari novelli presbiteri, siete chiamati a dire il vostro ’sì’, il vostro ‘eccomi’: siete chiamati a fidarvi del Signore. Anche voi, da oggi, diventate, come Maria, ‘servi del Signore’ ”. E a proposito di Maria, la mattina seguente, sempre a Comacchio, mons. Perego ha celebrato la S. Messa per la Solennità di Santa Maria in Aula Regia: “Maria, donna del popolo, è riconosciuta dal popolo come la prima credente”, ha spiegato. “E per questo si sono moltiplicati i santuari, testimonianza concreta nella storia, nelle vie delle nostre città e dei nostri paesi, nelle fatiche di ogni giorno, della presenza di una Madre, vicina al popolo di Dio, donna, Madonna del popolo. La Madonna del popolo – sono state ancora sue parole -, è la Madonna dei laici, che ’sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio’ (Evangelii Gaudium 102), scrive Papa Francesco. I laici, e tra essi soprattutto le donne, sentono Maria una di loro, una del popolo, La Madonna del popolo ci ricorda anche questa nuova condizione popolare, Vergine e Madre, ’figlia del suo Figlio’. E Maria ha trovato nei laici, dai piccoli, alle donne, ai semplici del popolo i suoi interlocutori preferenziali. ”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAInfine, il Vicario mons. Manservigi ha annunciato le comunità nelle quali i cinque nuovi presbiteri sono fin da subito assegnati: don Giuliano Scotton presterà servizio come Vicario nella zona pastorale di Comacchio, don Fabio Dalboni come Vicario nella zona pastorale di Mesola, don German Diaz Guerra sarà vicario parrocchiale nella parrocchia della Sacra Famiglia di Ferrara, don Luciano Camola è stato assegnato come Vicario nella zona di Ro Ferrarese, Tamara e Saletta, mentre don Alessio Di Francesca sarà Vicario nell’Unità Pastorale di San Martino.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 27 settembre 2019

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La Voce di Ferrara-Comacchio

“Il male esiste, è dentro di noi”: “Il signor Diavolo” di Pupi Avati

2 Set

Comacchio, cuore dell’Emilia profonda, luogo arcano e terribile, protagonista dell’ultima pellicola del regista, da lui presentata il 28 agosto a Ferrara. Una sconvolgente riflessione sul male, tra infanzia, fede e superstizione

a cura di Andrea Musacci

carloIl cinema italiano dimostra di avere ancora registi coraggiosi, capaci di saper proporre, in maniera originale, tematiche forse da molti considerate desuete, ma che appartengono alla cultura e al senso comune di intere popolazioni. Uno di questi artisti sempre più rari è Pupi Avati, bolognese d’origine ma legatissimo al nostro territorio, da lui immortalato in varie pellicole, fra cui “La casa dalle finestre che ridono”. Una fascinazione per la quiete arcaica e desolata della campagna del basso ferrarese, mai sopita, tanto da convincerlo ad ambientarci la sua ultima fatica, “Il signor Diavolo”, da lui stesso presentata in anteprima il 22 agosto a Comacchio (dove il film è stato girato) e sei giorni dopo, il 28, al Cinema Apollo di Ferrara. La pellicola, ambientata nell’autunno del 1952, racconta delle indagini sull’omicidio di un adolescente, Emilio (foto in basso), giovane deforme, incarnazione del maligno per alcuni, vittima di feroce superstizione, per altri. L’assassino è il 14enne Carlo (foto in alto), amico di Paolino, quest’ultimo morto in circostanze misteriose legate, pensano in molti, proprio alla presenza di Emilio. Tra profanazioni, riti e gesta sempre ambiguamente a cavallo tra fede cristiana e credenze popolari, la vicenda si dipana tra i confini offuscati del bene e del male.

Pupi_Avati_2La serata ferrarese, capace di richiamare circa 500 persone, si è svolta nella Sala 1 del Cinema di piazza Carbone, alla presenza, fra gli altri, dell’Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego e del Vicario Generale mons. Massimo Manservigi, oltre che dell’Assessore alla Cultura Marco Gulinelli, che ha fatto un breve saluto iniziale. “In passato ho diretto diversi film ‘consolatori’ su vita, famiglia, amicizia, ma questo non è così”, ha esordito Avati prima della proiezione. Richiamando una scena del film, ha spiegato come assomigli “a quei momenti della giornata in cui i bambini, dopo aver giocato, e magari bisticciato, nel pomeriggio in cortile, all’imbrunire sentono di dover ‘fare la pace’. Perché il buio fa paura, a tutti”. “Un film, questo – ha proseguito -, che mi ha permesso di tornare in questo ‘non luogo’, che è anche un ‘non tempo, una terra meravigliosa che va da Ferrara verso nord, fino al Po, dove la modernità non ha ancora avvilito il territorio, rimasto padrone”. Dove, di conseguenza, “dominano gli archetipi primordiali, come la paura”, rappresentata, in un flashback del film, da un bambino chiuso per punizione dal padre al buio in un armadio. Scena che rimanda anche al finale stesso. Ma è il male il protagonista della pellicola: “l’ho visto, tanto, e l’ho vissuto dentro di me – ha confessato Avati -, l’ho commesso e lo continuo a commettere, ad esempio nel godere degli insuccessi dei colleghi. Ma esiste anche un male superiore, più grave: il male per il male”, quello gratuito, “e spesso chi lo compie è anche più apprezzato a livello pubblico”. Dopo la proiezione, il regista ha raccontato alcuni aneddoti sui due giovani protagonisti, Filippo Franchini, che interpreta Carlo, e Lorenzo Salvatori, nel ruolo di Emilio. Il primo, “lo scelsi a Rovigo, fra 70 ragazzini presentatisi al provino: fin da subito, spiegando il film, sembrava capire tutto, guardandomi dava la sensazione che comprendesse meglio di me le cose di cui parlavo. Mi colpì molto questo suo sguardo perturbante”. Infine, Avati ha accennato alla possibilità di un seguito del “Signor Diavolo” – visto anche il finale volutamente aperto – se non addirittura a una vera e propria “sagra del male”.

Volti, simboli e richiami del demoniaco: un’analisi del film

emilio“C’è una forza che abita la nostra anima. Opposta al desiderio di bene. La nostra cultura dominante dimentica queste battaglie dell’anima, tende a dimenticare che abbiamo un’anima”: così scriveva un mese fa il poeta Davide Rondoni sul Carlino nazionale, all’indomani del duplice omicidio volontario di due giovani nel bergamasco, in seguito a una “banale” lite dentro una discoteca. Un rammarico, quello per l’abbandono del discorso sul maligno, condiviso da Pupi Avati, che non ha perso occasione, nemmeno nel suo intervento all’Apollo di Ferrara del 28 agosto, di lamentare come la stessa Chiesa “non parli più del diavolo”. In ogni caso, la visione tradizionalistica del cineasta bolognese, nella sua ultima pellicola l’ha portato a un ritorno al passato, a quella fase pre-consumistica (e in parte pre-moderna) in un angolo di Occidente non ancora del tutto contaminato dal progresso, dove quindi, a suo dire, è ancora possibile riscoprire tanto il sacro quanto il “profano” nella sua veste demoniaca. Sacro e demoniaco che, quindi, per Avati, possono essere riconosciuti solo in una società antica, in spazi a-temporali, in quel tempo incantato, sospeso, che si vuol credere incorrotto, mitico, anche se così non è. Oggi, invece, sembra dire il regista, il conflitto tra Bene e Male non ha più corpi, parole per essere espresso. L’agone fondamentale è stato dimenticato.

Alla ricerca del Bene e del Male

La ricerca da parte di Furio Momenté – funzionario ministeriale incaricato delle indagini sull’omicidio di Emilio, dentro gli intrecci del potere democristiano del secondo dopoguerra – sembra rappresentare la ricerca di una verità non solo procedurale, e non strumentale, ma ben più profonda, appunto sul Bene, sul Male e sul loro conflitto. Il suo (il nostro?) bisogno di affondare nelle viscere del reale – sembra dirci Avati – viene seppellito nei sotterranei di una chiesa vuota, dove nessuno può e potrà sentirne le grida, quel monito a non disperderci nelle frivolezze della mondanità, ma a temere il male/il Male, e a non cercare piccoli beni, ma ad anelare al Bene, sempre.

Davide contro Golia…

Nella pellicola, l’esile Carlo uccide il rude e corposo Emilio con una pietra lanciata da una fionda, colpendolo in un occhio. La sequenza richiama la lotta biblica fra il giovane Davide e il filisteo Golia, raccontata nel libro di Samuele: «Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo. Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa» (1 Samuele 17,48-51).

Emilio, verro demoniaco o vittima del mondo?

Nonostante le apparenze, raffinata nella sua consapevolezza è la persistente, e crescente, ambiguità su quali figure (Emilio, Carlo, le suore, i sacerdoti…) il Male abiti davvero nella vicenda raccontata ne “Il signor Diavolo”. Nella prima parte del film, è Emilio a essere presentato come incarnazione del maligno: a dimostrarlo sarebbero, oltre la sua ferocia gratuita, la stessa conformazione fisica, malformata e ferina. I denti enormi, i peli spessi e duri lo mostrano, infatti, agli occhi dei compaesani come mezzo uomo e mezzo maiale, nato – pensano in molti – dall’unione carnale fra una donna e un verro. Non a caso, il maiale è tradizionalmente simbolo di lussuria e ingordigia, e dagli stessi ebrei e musulmani considerato animale impuro. Nel Vangelo, due sono i passi nei quali il maiale è richiamato come simbolo di degradazione: il primo, in Matteo: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi» (Mt 7,6 ). Sbranamento, forse non casualmente citato dal regista nel modo in cui Emilio uccide – o si insinua che abbia ucciso – la neonata sorellastra. L’altro passo è parte della parabola del figliol prodigo, prima del ritorno al padre/Padre: «quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava» (Lc 15, 14-16). Il maiale è, infine, simbolo positivo se associato a sant’Antonio Abate, in quanto il suo grasso era usato dai suoi discepoli per curare l’ergotismo detto “il male di s. Antonio” o “fuoco di s. Antonio” (herpes zoster).

«Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo» (da “Emilio”, J. J. Rousseau, 1762)

La stessa etimologia del nome “Emilio” suggerisce alcune riflessioni. Un primo significato, immediato, è quello che richiama l’ “abitante dell’Emilia”, per cui il personaggio del film incarnerebbe perfettamente lo spirito perturbante e cupo delle nostre zone. Sempre a livello etimologico, Emilio (aemulus) significa “il rivale”, “il competitore”, “l’emulo”, quindi “l’Avversario”, l“’Antagonista”, “il Nemico”, tutti significati dell’ebraico sāṭān. Il nome richiama anche la celebre opera “Emilio” di J. J. Rousseau, nella quale il filosofo svizzero assume la vita di Emilio come modello pedagogico per dimostrare come l’educazione a contatto con la natura preservi il giovane da alcuni pericoli e corruzioni della civiltà. Nel film del regista bolognese, perciò, Emilio è l’esatto opposto del “buon selvaggio” (se ci concediamo una semplificazione del pensiero rousseauiano). Oppure, seguendo la versione della madre del giovane, era naturalmente buono, ma ha perso il senno a causa degli elettroshock subiti da bambino nel volerlo curare dall’epilessia. Sarebbe dunque la civiltà, e la sua scienza “moderna”, come suggerisce la frase sopracitata dell’opera di Rousseau, ad averlo deformato e corrotto. Seguendo questa versione, Emilio ne “Il signor Diavolo” è dunque il diverso, il debole, vittima del male incarnata non in una singola persona, ma nel “peccato” delle persone accecate, chi dalle supersitizioni pseudo religiose, chi, specularmente, dalla superbia di certo scientismo.

«Il concavo cielo sfavilla» (da “X agosto”, Giovanni Pascoli, 1896)

Ricordi dell’infanzia fanno riaffiorare alla mente “X agosto”, poesia di Giovanni Pascoli. È Carlo stesso a leggerla, durante i compiti scolastici pomeridiani, dopo l’uccisione del verro e prima della morte del padre. Scelta per nulla casuale del regista, vien da pensare: la poesia, infatti, è dedicata dal Pascoli al padre ucciso da due sicari, in circostanze che richiamano fortemente la morte misteriosa del padre di Carlo, in particolare in questi versi: «Anche un uomo tornava al suo nido: / l’uccisero: disse: Perdono; / e restò negli aperti occhi un grido / portava due bambole in dono… / Ora là, nella casa romita,/ lo aspettano, aspettano in vano: / egli immobile, attonito, addita / le bambole al cielo lontano». Così, invece, si conclude, la poesia di Pascoli: «E tu, Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale, / oh! d’un pianto di stelle lo inondi / quest’atomo opaco del Male!». Una nota di speranza presente anche nella pellicola di Avati, ma che fatica a mostrarsi: non emergono, infatti, nel film, figure luminose, volti santi, ma tutto sembra inghiottito da una penombra soffocante, ogni cosa si dissolve in queste valli che paiono sconfinate, dove Dio non sembra abitare.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 settembre 2019

La Voce di Ferrara-Comacchio

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San Cassiano, esempio di educatore alla vita buona del Vangelo

16 Ago

Domenica 13 agosto Mons. Gian Carlo Perego ha celebrato la S. Messa a Comacchio in occasione della festa del patrono San Cassiano

Mons. Perego prima della benedizione dell'imbarcazione«L’educatore deve accompagnare il giovane, prenderlo per mano insegnandogli il rispetto, l’accoglienza e l’uso critico della ragione». Il nostro Arcivescovo Mons. Gian Carlo Perego ieri, domenica 13 agosto, durante l’omelia della Santa Messa concelebrata nella Concattedrale di Comacchio ha colto l’occasione della festività di San Cassiano di Imola (240-304 ca.), patrono della città, per riflettere sull’importanza della missione pedagogica che spetta ad ogni adulto.
La funzione, accompagnata dai canti della Schola Cantorum “San Cassiano”, ha preso avvio alle ore 18 alla presenza di varie autorità civili e militari: Denis Fantinuoli, vice Sindaco, Tenente di Vascello Fabrizio Vittozzi, Comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Porto Garibaldi, Tenente Andrea Coppi, Comandante del Comando Compagnia Carabinieri di Comacchio, il Comandante della Tenenza della Guardia di Finanza di Comacchio, il Comandante del Comando di Polizia Municipale, Dott. Paolo Claps, oltre a rappresentanze della Protezione Civile Trepponti, delle associazioni combattentistiche e d’arma, del Gruppo Costantino Guidi di Comacchio e di Porto Garibaldi, M. B. V. M. – Gian Roberto Genta (ANMI). Prima dell’inizio della S. Messa oltre al busto reliquario del Santo patrono posto sull’altare, Mons. Perego ha benedetto anche una delle otto imbarcazioni tipiche – le “vulicepi” – protagoniste della Gara tradizionale di San Cassiano, la regata svoltasi dopo la funzione nel canale navigabile Comacchio-Porto Garibaldi, e che, per la cronaca, ha visto la vittoria di Adolfo Mezzogori e Nazzareno Cavalieri. Alcuni barcaioli hanno omaggiato l’Arcivescovo con un piatto tipico dipinto.
«Il Santo Patrono – ha esordito l’Arcivescovo nella sua omelia – lega la fede alla terra attraverso la propria testimonianza». Così nello specifico San Cassiano, insegnante-martire, «è un educatore, in lui la fede passa attraverso l’insegnamento, la pazienza, l’amore, la costanza e la prudenza. In un mondo come il nostro in continuo mutamento – ha proseguito – la Chiesa ci invita a essere educatori alla vita buona del Vangelo». La disamina su alcuni dei mali presenti delle nostre terre è sintetica ma oggettiva: «l’abbandono della fede caratterizza tante nostre famiglie e comunità insieme all’offuscamento delle interiorità, all’incerta formazione tanto di identità personali quanto di identità comunitarie, a una nuova mobilità, al difficile dialogo tra generazioni, alla separazione tra intelligenza e affettività, a un crescente individualismo. Tutte sfide nuove da affrontare con nuove figure e opportunità educative».
A maggior ragione dunque in un presente segnato da contraddizioni e problematiche di questo tipo, «l’educatore non può essere un osservatore passivo e pessimista dei fenomeni giovanili, ma un amico, un maestro, un medico, un allenatore, un padre che sappia accompagnare, prendere per mano i giovani, insegnando loro il rispetto e l’accoglienza. Un educatore – è ancora il pensiero dell’Arcivescovo – deve saper promuovere la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione, coniugando tra loro intelligenza e sensibilità, mente e cuore, perché i giovani si interessino della città». Qui Mons. Perego ha colto l’occasione per citare don Lorenzo Milani – di cui quest’anno ricorre il 50° dalla morte – e il motto della sua scuola di Barbiana, “I care” (me ne importa, mi sta a cuore), «una delle caratteristiche più importanti per un educatore».
«Chiediamo quindi al Signore, per intercessione di San Cassiano – ha concluso – di essere buoni educatori, e che anche a Comacchio continuino a crescere persone cristiane in ogni ambito della vita sociale, capaci di educare alla vita buona del Vangelo». Una volta terminata la funzione, Mons. Perego nel percorrere la navata centrale si è fermato a più riprese a salutare le tante persone accorse, che hanno accompagnato il suo congedo con un fragoroso e spontaneo applauso.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” il 14 agosto 2017

Crociara, Darbo e…Bassani: ecco le nuove mostre del fine settimana

1 Lug

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Renzo Crociara

Tornano anche questo fine settimana le inaugurazioni artistiche nella nostra provincia.
Oggi alle 11 nella Palazzina del Turismo dell’Abbazia di Pomposa, inaugura la collettiva fotografica “Giorgio Bassani e le sue poesie” organizzata dal Fotoclub Ferrara, in collaborazione con la Fondazione Bassani, con in mostra immagini di soci del Fotoclub cittadino. Ogni opera, composta con trittico di fotografie, riporta un testo dello scrittore ferrarese da cui sono state ispirate. La mostra è a ingresso libero tutti i giorni dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.30.
Sempre oggi alle 19.30 nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Bellini a Comacchio inaugura la mostra “40 anni di pittura” di Renzo Crociara, artista codigorese, che sarà presente. L’esposizione, con il patrocinio del Comune di Comacchio e della Regione Emilia Romagna, ha come partner logistico Ascom Confcommercio, e sarà visitabile fino al 12 settembre. L’ evento è accompagnato da un catalogo con la prefazione dell’assessore alla Cultura Alice Carli e con l’intervento di Vittorio Sgarbi. Quest’ultimo ripercorre le tappe della pittura di Crociara che mette in esposizione una cinquantina di opere (dall’acrilico all’olio su tela) che raccontano di nature morte, autoritratti, oggetti di uso quotidiano, frammenti di vita vissuta. E nell’ultima fase della sua produzione, come scrive Sgarbi, “tutto diventa, nei dipinti di Crociara, atmosfera, traduzione della realtà nella dimensione del pittorico, emozione vibrante, poesia”.
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Infine, ricordiamo che da ieri è visitabile “Carne italiana”, la nuova personale del pittore Marcello Darbo, esposta nel suo studio in via Vittoria, 22/b a Ferrara.

Andrea Musacci

Anche nella Cattedrale di Comacchio la liturgia per la conclusione del Giubileo

14 Nov

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I sacerdoti concelebranti

«Anche se la Porta Santa chiude, la Misericordia di Dio rimane sempre aperta, anzi spalancata per ognuno». Ieri a Comacchio nella Concattedrale di San Cassiano ha avuto luogo la cerimonia di conclusione dell’anno giubilare della Misericordia con la chiusura della Porta Santa. La S. Messa è stata presieduta da Mons. Antonio Grandini, parroco di San Giuseppe Lavoratore e canonico della Cattedrale di Ferrara, insieme al parroco don Ruggero Lucca, al vice parroco don Adrian Gabor, e a don Stefano Zanella, alla guida della Parrocchia di Lido degli Estensi. Poco prima dell’inizio, Mons. Grandini ha radunato la folla (circa 300 i presenti) per compiere insieme, per l’ultima volta, l’ entrata dalla Porta giubilare, subito dopo un momento di  riflessione sul significato della porta nel testo biblico.

Durante l’omelia, Mons. Grandini, dopo aver riflettuto sull’immagine del cuore di Dio come «porta spalancata», ha meditato sulla Provvidenza divina in merito ad eventi catastrofici, come il recente terremoto nel centro Italia.
Infine, ricordiamo che il Papa chiuderà il Giubileo a Roma domenica prossima, e che a Comacchio la Porta Santa era stata aperta da Mons. Grandini lo scorso 13 dicembre.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 14 novembre 2016

Museo Remo Brindisi, i Maestri del ‘900 a Lido di Spina

6 Set

In quanti sanno che a Lido di Spina, a due passi da una delle spiagge più frequentate dei Lidi Estensi, c’è una casa-museo che raccoglie creazioni dei più grandi artisti del ‘900?

E’ la casa-museo dell’artista Remo Brindisi (Roma, 1918 – Lido di Spina, 1996), che ospita, tra l’altro, opere di Giorgio de Chirico, Francis Bacon, Filippo de Pisis, Mario Sironi, Giò Pomodoro, Lucio Fontana, Pablo Picasso e Renato Guttuso.

Inaugurata e aperta al pubblico nel 1973, con il nome di “Museo Alternativo Remo Brindisi” la struttura, opera dell’architetto e designer Nanda Vigo (Milano, 1936), nasce come residenza estiva di Brindisi e della sua famiglia, e come museo per la sua ricca collezione.

“L’idea di dare vita al Museo Alternativo è nata da una prima esigenza di raccogliere le numerose opere d’arte che possedevo (e quelle che intendevo aggiungere alla collezione) in un ambiente appositamente costruito. Anni prima ero stato favorito dal vivere accanto a uomini straordinari, grandi amatori d’arte, che con molta spesa e anche maggiore azzardo divennero i pionieri in Italia del grande collezionismo dell’arte contemporanea. L’amicizia che esisteva tra me e questi professionisti mi consentì di vivere un po’ della loro avventura e di entrare in possesso di diverse opere di artisti che ritenevo interessanti. Certo i sacrifici non sono stati pochi. Era il periodo in cui il bisogno economico mi si manifestava in tutta la sua crudezza […]” (Remo Brindisi)

Andrea Musacci