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Misticismo copto, l’Etiopia tra Matera e San Giorgio: mostra di foto a Ferrara

17 Apr

Dal 21 al 25 aprile la Basilica di San Giorgio fuori le Mura a Ferrara ospita la mostra di Cristina Garzone, fotoreporter di fama internazionale. Le abbiamo rivolto alcune domande

di Andrea Musacci

La Basilica di San Giorgio fuori le Mura ospita la mostra personale di una fotoreporter di livello internazionale, Cristina Garzone. Dal 21 al 25 aprile, in occasione della Festa di San Giorgio, nell’ex Chiostro Olivetano sarà esposto il progetto fotografico dal titolo “Misticismo copto”. Inaugurazione il 21 aprile alle ore 18.45. Protagonista delle opere in parete, la città di Lalibela nel nord dell’Etiopia (a oltre 2600 metri di altezza), patrimonio UNESCO dal 1978, con le sue 11 chiese monolitiche ipogee costruite nel XII secolo e collegate da un intricato sistema di tunnel sotterranei. Come ha scritto Carlo Ciappi a proposito del progetto della Garzone, «è proprio in quell’interiorità della terra che gli Etiopi cercano di immedesimarsi in quell’Uno, di avvicinarsi al suo esempio ideale poggiando mani e volto a pareti non levigate o in presenza di sontuosi arazzi o pregiate rappresentazioni di ogni genere». 

“Misticismo copto” è anche il titolo del suo libro fotografico con contributi, fra gli altri, di Derres Araia (Segretario Diocesi ortodossa Eritrea in Italia) e mons. Antonio Giuseppe Caiazzo (Arcivescovo Diocesi Matera-Irsina). È stato realizzato anche un audiovisivo, a cura di Lorenzo de Francesco (https://www.youtube.com/watch?v=v49yHeP5Wso).

Garzone, originaria di Matera e residente in provincia di Firenze, negli anni ha conseguito numerosi riconoscimenti nei più importanti concorsi internazionali. Fra questi, nel 2010, ha ottenuto il 1° Premio nel concorso “3° Emirates Photographic Competition” in Abu Dhabi, e nel 2014 ha conquistato il Grand Prize nell’8a edizione dell’“Emirates Award of Photography”, sempre in Abu Dhabi: qui, è risultata prima assoluta fra 8500 partecipanti di 58 Paesi, presentando il portfolio “Pellegrinaggio a Lalibela”. Ad aprile 2020 le è stata conferita la più alta onorificenza della fotografia internazionale MFIAP (Maitre de la Federation Internationale de l’Art Photographique): Garzone è ancora la prima ed unica donna fotografa italiana ad aver conseguito un titolo così importante. Infine, nel Luglio 2021 le è stata conferita l’onorificenza EFIAF (Eccellenza della FIAF) e nel marzo 2023 l’onorificenza EFIAF/b. Sue mostre personali sono state esposte in Italia e all’estero.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Dove nasce il progetto “Misticismo copto”?

«Il progetto parte da lontano, nel 2011, quando scelgo di “abbandonare” la mia macchina analogica per iniziare a usare quella digitale, e il mio amato Oriente – sono stata, ad esempio, una decina di volte in India – per visitare il sud dell’Etiopia, alla ricerca delle antiche tribù. Successivamente ho scelto di visitare anche il nord del Paese, in particolare la città di Lalibela, famosa per le sue chiese monolitiche scavate nella roccia».

Cos’ha scoperto qui?

«Ho scoperto innanzitutto queste chiese splendide, scavate nel tufo. Fin da subito mi ha impressionato vedere tanti fedeli così profondamente assorti nella preghiera, molti di loro all’esterno delle strutture, dato che le chiese sono piccole: alcuni di loro – avvolti in mantelli bianchi così da trasmettere una sensazione di purezza – gli ho visti baciare le pareti in segno di devozione». 

Da qui, l’idea del progetto…

«Esatto. Una volta tornata a casa, mi sono confrontata con un noto studioso di storia delle religioni, che mi ha incitato a realizzare un progetto di questo tipo sui copti, mai realizzato prima». 

Com’è nata l’idea di esporre a Ferrara?

«Sono venuta in contatto col diacono Emanuele Pirani tramite don Lino Costa, che conosco da diversi anni e più volte mi ha coinvolto nelle sue iniziative “In viaggio con don Lino”».

Il legame con San Giorgio è profondo…

«Sì, sembra che San Giorgio mi segua ovunque: la chiesa più importante a Lalibela è proprio la chiesa di San Giorgio (Bet Giorgis, ndr), la cui foto aprirà la mia mostra a Ferrara. Tra l’altro, il prossimo 7 settembre tornerò a San Giorgio fuori le Mura per esporre il mio progetto fotografico dedicato alla Festa della Bruna a Matera».

Avremo modo di riparlarne. In ogni caso, Matera per lei non rappresenta solo il luogo di nascita…

«Sì, questo progetto mi fu suggerito da un mio cugino: nel realizzarlo, ho provato emozioni molto forti, ricordi e sensazioni di quando ero bambina e ogni anno tornavo a Matera coi miei genitori. Ho deciso così di lasciare qualcosa d’importante di me nella mia terra, anche in memoria di mio padre, morto quando aveva 58 anni. Sono entrata in contatto anche con diversi artigiani del luogo, fra cui Francesco Artese, maestro dei presepi. Inoltre, lo scorso settembre ho partecipato al Congresso eucaristico nazionale di Matera come fotografa per Logos, la rivista della Diocesi».

A livello di spiritualità, esiste qualche legame tra una terra come Matera e l’Etiopia?

«Sì, a Matera come in tutto il Sud Italia la spiritualità è molto forte, la fede è molto sentita, vissuta in maniera intensa, come in Etiopia. Spesso, invece, al Nord Italia ad esempio, è ridotta a un fatto d’apparenza». 

In generale, qual è il suo rapporto con la fede?

«Sono credente, spesso amo “rifugiarmi” nel convento di S. Lucia alla Castellina a Sesto Fiorentino, perché sento il bisogno di staccarmi dalla quotidianità e perché la vita a volte ti mette davanti a dure prove. Da qui, il mio bisogno di avvicinarmi a Dio, di sentirmi vicino a Lui».

***

Festa di San Giorgio, tante iniziative fino al 25 aprile

Lunedì 24 importante Rassegna corale e strumentale diretta da Davide Vecchi

La Festa di San Giorgio, patrono della città di Ferrara, prevede venerdì 21 aprile alle ore 18.45 l’inaugurazione della mostra “Misticismo copto” di Cristina Garzone.

Sabato 22 aprile alle ore 18, S.Messa solenne presieduta dal nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, mentre domenica 23 aprile, S. Messe alle ore 11.15 (solenne) e 18 (in memoria dei contradaioli di San Giorgio).

Lunedì 24 aprile alle ore 21, I^ Rassegna corale & strumentale “San Giorgio, Patrono di Ferrara”, diretta da Davide Vecchi.Si esibirannoCoro della Basilica di S. Giorgio in Ferrara (Dir. Davide Vecchi), Coro dell’Arengo, Bologna (Dir. Daniele Sconosciuto), Ensemble strumentale “Otto e mezzo” Accademia Corale Teleion, Mirandola (MO) (Dir. Luca Buzzavi),Coro da camera del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara (Dir. Manolo Da Rold).

Ma sono tanti anche gli eventi organizzati dalla Contrada di San Giorgio col Palio di Ferrara:fra questi, “Le Taverne all’ombra del campanile” (dal 21 al 25 aprile), il 22 alle 18 l’inaugurazione dei nuovi giardini della Contrada diSan Giorgio con spettacolo del gruppo sbandieratori e musici; il 23 aprile alle 9.30 è invece in programma la “Caminada Par San Zorz – Trofeo AVIS”. Infine, il 25 aprile sul piazzale San Giorgio alle ore 10, XI Trofeo dell’Idra, Torneo Sbandieratori e Musici.

Pubblicati sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Sacramento e abbandono: Marina Salamon a Ferrara

3 Apr

La sera del 30 marzo a Casa Cini è intervenuta la nota imprenditrice. In dialogo con Piero Stefani e coi presenti, è emersa la  complessità di una vita tra fede, carriera e famiglia

di Andrea Musacci

Per don Lorenzo Milani era centrale l’aspetto sacramentale oppure quello caritatevole/pastorale? Era un esponente ante litteram della “Chiesa in uscita” o, semplicemente, un sacerdote della Chiesa pre Concilio Vaticano II, che cercava, ogni giorno, di incarnare il Vangelo?

Da questi dilemmi, escono, da decenni, accesi dibattiti. Uno di questi, si è svolto la sera del 30 marzo a Casa Cini, Ferrara, in occasione dell’ultimo incontro della Cattedra dei credenti organizzata dalla Scuola di teologia “L. Vincenzi” e coordinata da Piero Stefani. Proprio quest’ultimo ha dialogato con Marina Salamon, personalità eclettica del mondo imprenditoriale italiano, verve da ragazzina e forza da matriarca.

Anelli e catene: il dono, il denaro, la profezia

«Vengo da una famiglia borghese e non credente ma amante di don Milani, che diventava quindi un anello di congiunzione», ha esordito Salamon. Un anello, dunque, il primo che la tenne legata, per alcuni anni, alla Chiesa. Poi ne vennero altri, gli scout («ho avuto il grande dono di incontrare Dio attraverso lo scoutismo e S. Francesco d’Assisi»), Comunione e Liberazione, con quella Jeep comprata coi primi soldi guadagnati e donata a un amico ciellino missionario in Africa.

«La mia fede è un dono» ma ho passato parte della mia vita a sentirmi fuori posto, a essere considerata irregolare, per i figli che ho avuto fuori dal matrimonio e i miei due divorzi alle spalle». Quegli anelli, segno di profonda unione e di libertà, sono diventati catene da cui liberarsi. 

Marina inizia dunque la propria carriera imprenditoriale: da lì il successo, la ricchezza, la fama. Ma sempre senza diventarne schiava. Sì, perché le catene possono anche essere quelle del guadagno, della ricchezza e della sua ostentazione. «Da tanti anni faccio filantropia, ma solo da alcuni rifletto su come possa diventare metadone, cioè possa aiutare a tenere la propria coscienza a posto. Non amo la ricchezza che diventa simbolo del lusso, ostentazione», sono ancora sue parole. «Il denaro dovrebbe essere solo uno strumento e invece troppo spesso ho visto ricchi farsi del male perché non sapevano usarlo». Denaro che, «come ci insegna la Parabola dei talenti, non è davvero nostro», e quindi è da restituire e reinvestire.

Da qui, una riflessione sul mondo di oggi, dove ostentazione e speculazione dominano. «Il tema della finanziarizzazione è serio, grave, incombente, le disuguaglianze aumentano ma bisogna ancora tentare di creare nuove possibilità. Per questo, c’è bisogno di profezia, e di una profezia incarnata nel fare». Per Salamon, pensando anche alle lotte di queste settimane in Francia, «dobbiamo ridefinire l’impegno, l’utilità sociale e il senso del lavoro: perché lavoriamo? Per costruire quale società?». Il suo pensiero è quindi andato alla lettera che don Milani nel ’50 a San Donato a Calenzano scrisse a Pipetta, giovane comunista, suo “compagno” di battaglie, ma che ammonisce così: «Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i… fame e sete”». È questa la profezia, il non sentirsi mai appagati, il «saper andare oltre», il sapere che c’è sempre Qualcosa che ci supera. 

Sempre capaci di rimetterci davanti a Dio

Questo suo bisogno – di don Milani, e di Salamon – di andare sempre oltre il presente, la concretezza così velocemente tramutabile in grettezza, è stato ripreso da Piero Stefani, che ha posto l’accento sulla «spiritualità “tridentina”» di don Milani, nella quale «centrali erano i sacramenti e un’idea del peccato molto forte».

Ai suoi ragazzi di Barbiana una volta disse: «Per me che l’ho accettata, questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica l’Espresso (settimanale laico di sinistra, ndr). L’assoluzione dei peccati me la dà un prete. Se uno vuole il perdono dai peccati si rivolge al più stupido, arretrato dei preti pur di averla. (…). In questa religione c’è fra le tante cose, importantissimo, fondamentale, il sacramento della confessione dei peccati. Per il quale, quasi per quello solo, sono cattolico. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo». Don Milani era quindi, per Stefani, «il rappresentante di un cattolicesimo che non c’è più».

«Sento spesso il bisogno di rimettermi davanti a Dio – ha risposto Salamon -, perché quando senti la spaccatura dentro di te fra intelligenza e libertà, logica e desiderio di bene, di ciò hai bisogno, e solo di ciò: per questo, don Milani amava la Confessione». Senza, però, «rifugiarsi nei sacramenti» ma vi aderiva per appartenere alla Chiesa, «altrimenti penso avrebbe spaccato tutto… . Non credo, quindi – ha proseguito Salamon – che la sacramentalizzazione fosse centrale in lui». E a maggior ragione oggi, i sacramenti sono ancora fondamentali ma «dobbiamo anche riscoprire il bisogno, di ognuno, di sentirsi accolto, di potersi fidare e abbandonare all’altro».

Un dialogo, con Stefani e col pubblico, conclusosi con la commozione di Marina Salamon. Lacrime di dolore, le sue, per la giovane nipote morta suicida, e per il ricordo dei sei figli perduti in gravidanza. Ma anche lacrime di riconoscenza, segno sacro. Come segni sono quelle piccole chiese gotiche di cui Marina è sempre alla ricerca, e quel Santuario parigino della Medaglia Miracolosa tante volte sfiorato e solo dopo tanto tempo davvero “visto”, come una rivelazione. Un luogo dove potersi abbandonare, dove vedere – col cuore – sacramento e carità uniti oltre ogni falsa separazione.

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 aprile 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Pino Cosentino)

Bimbi ucraini, grande gioia al Circo 

29 Mar
I bambini ucraini assieme agli artisti

Nel pomeriggio di sabato 25 marzo, oltre 30 bimbi della comunità di Ferrara sono stati invitati al Circo Armando Orfei, grazie anche a Fondazione Migrantes

Un pomeriggio all’insegna dello spasso e del puro divertimento, fra clown, giocolieri, trapezisti e molto altro. Sabato 25 marzo oltre 30 bambini ucraini della nostra città hanno avuto l’opportunità di essere ospiti del Circo Armando Orfei, per uno spettacolo che non dimenticheranno facilmente. Circo Orfei che sarà presente in via della Fiera fino al 2 aprile.

L’iniziativa di regalare ai bambini e ai loro genitori alcune ore di distrazione, è stato possibile grazie alla Fondazione Migrantes della nostra Chiesa e all’Ente Circhi.

Galyna Kravchyk, responsabile gruppo insegnanti del circolo “Luce da luce” della parrocchia ucraina ferrarese, ha coordinato assieme al parroco don Vasyl Verbitskyy l’iniziativa: in pochi giorni, si sono iscritte 58 persone, fra cui 32 bambini (oltre la metà di loro, profughi). Per molti dei piccoli, si è trattata della prima esperienza al circo. Ricordiamo che anche l’Ucraina ha un’importante tradizione circense, tanto da ospitare, per esempio, a Leopoli un circo stabile.

Inoltre, il giorno successivo, domenica 26, nella chiesa di S. Maria dei servi i bimbi ucraini hanno rappresentato la parabola del figliol prodigo, coordinati dalla stessa Kravchyk. E da domenica 19, fino a dopo Pasqua, in chiesa è allestito un mercatino pasquale solidale, il cui ricavato sarà usato per sostenere la popolazione ucraina.

Il nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes, non ha potuto essere presente nel pomeriggio del 25 e così ha visitato il Circo Armando Orfei nel pomeriggio successivo, intrattenendosi con gli artisti e impartendo la benedizione.

Il diploma a Kristal Brinati, giovane artista

La compagnia di Armando Orfei raccoglie 30 fra artisti e tecnici. Fra i primi, vi è la famiglia Brinati, storica famiglia circense: Oscar, 88 anni, il figlio Renato con la moglie Alba Ferrandino, e le loro due figlie Sharon, 28 anni, e Kristal, 20. Tutti artisti. Quest’ultima, sabato, alla fine dello spettacolo pomeridiano a cui hanno assistito anche i bambini ucraini, ha ricevuto dalle mani di Monica Bergamini della Migrantes il diploma del Liceo Artistico “Bruno Munari” di Castelmassa (RO), scuola che ha frequentato “a distanza”, concludendo gli studi l’anno scorso. «Mediamente mi alleno 2 o 3 ore al giorno, tutti i giorni», ci spiega Kristal, che ha debuttato nell’autunno 2020. «Fin da piccola ho fatto la giocoliera, iniziando prima con la ginnastica artistica». Kristal viene da una tradizione di giocolieri, come il padre Renato (al cardiopalma il suo numero di tiri di precisione con la balestra) e il nonno Oscar. La Migrantes nazionale attualmente segue 400 ragazzi circensi studenti in tutta Italia: li aiuta per l’iscrizione, poi i ragazzi seguono le lezioni su classroom, prima di fare una sorta di verifica “a casa” e in seguito un’altra in presenza a scuola.La Migrantes segue, fra gli altri, alcuni ragazzi circensi iscritti all’IPSIA “Bari” di Badia Polesine e all’IPSAA “Bellini” Alberghiera di Trecenta, dove seguono anche un corso di sicurezza. Inoltre, il presidente dell’Ente Circhi Antonio Buccioni collabora in modo costante con la Migrantes, facendo anche in modo che molti giovani circensi possano svolgere l’alternanza scuola-lavoro all’interno del proprio circo.

E a proposito di Migrantes, a Ferrara, oltre a Monica Bergamini, erano presenti il marito Flaviano Ravelli (che viene da una famiglia di giostrai, attività che ha portato avanti fino al 1989) e la loro figlia Valeria: sono i tre operatori pastorali Migrantes che nello specifico si occupano del mondo dello Spettacolo viaggiante. Un anno fa, nella nostra città, si sono prodigati per permettere che i figli di esercenti del Luna Park in San Giorgio, potessero ricevere, nella Basilica di S. Maria in Vado, il sacramento della Confermazione. Un’azione pastorale, questa, importante e non scontata, anche per la presenza, fra i circensi, di evangelici e, in misura minore, di testimoni di Geova.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(Foto Pino Cosentino)

«La fede è dei testimoni: ecco il mio don Milani». Intervista a Marina Salamon

24 Mar
Don Lorenzo Milani con alcuni dei suoi ragazzi di Barbiana

Sono gli incontri che cambiano la vita, che ci riaprono allo Spirito. Marina Salamon ci racconta della fede giovanile, e di quella ritrovata da adulta. Una fede più che mai incarnata

di Andrea Musacci

Per chi nutre ancora dubbi sulla possibilità, in una sola anima, di unire un forte senso del sacro con una mentalità imprenditoriale, uno slancio all’Assoluto con le ultime statistiche demografiche, si ricreda. 

Marina Salamon, nella sua personale esperienza incarna questa aspirazione. O almeno ci prova, data l’umiltà che dimostra pur avendo alle spalle una vita di successo nel mondo dell’impresa: nata nel 1958 a Tradate (Varese), è diventata imprenditrice quand’era ancora universitaria, fondando “Altana”, azienda leader nel settore di abbigliamento per bambini. Nei primi anni ’90 assume il controllo della società di ricerche di mercato “Doxa” mentre nel 2014 diventa azionista di maggioranza di “Save the Duck”, azienda che produce piumini senza fare uso di penne d’oca. Oggi tutte le sue attività fanno parte della holding “Alchimia”, impresa che opera nel settore della compravendita immobiliare. Nel ’94, per qualche mese, ha fatto anche parte della Giunta di Venezia guidata da Massimo Cacciari. Salamon ha quattro figli (da due padri diversi), una figlia in affido e attualmente assieme al marito Paolo Gradnik (col quale vive a Verona) ospita due famiglie ucraine. 

Giovedì 30 marzo alle ore 20.30 interverrà a Casa Cini a Ferrara (via Boccacanale di Santo Stefano, 24) per il terzo e ultimo incontro della “Cattedra dei credenti” coordinata da Piero Stefani con la Scuola di teologia per laici “Laura Vincenzi”. Tema dell’incontro, “Un’imprenditrice alla scuola di don Milani”.

L’abbiamo contattata per rivolgerle alcune domande.

Marina, com’è nata la sua fede cristiana, dove ha attinto? 

«Vengo da una famiglia non credente, ma grazie a mia nonna, che amavo molto, feci comunque i sacramenti. Quel che però ha fatto la differenza, è stata la mia esperienza negli scout, a partire dai 10 anni. Mio padre Ennio teneva ai valori dello scoutismo, perché anche lui era stato uno scout cattolico, anche se poi è diventato agnostico. È stata un’esperienza meravigliosa, fondante sia per la mia fede che per i miei valori: mi ha insegnato a riconoscere Dio nella creazione, mi ha tenuta attaccata a Dio attraverso San Francesco d’Assisi, anche negli anni in cui sono stata lontana dalla Chiesa. Poi, tra i 14 e i 16 anni, ho frequentato Gioventù Studentesca (movimento interno a CL, ndr), un’altra esperienza per me importante, grazie anche a molti amici di CL che mi sono rimasti amici dopo la mia uscita dal movimento. Le loro testimonianze di vita, legate alla missionarietà, mi hanno aiutato molto». 

Da adulta, invece, quali testimoni l’hanno accompagnata nella fede?

«Ne ho incontrati diversi, ma ne cito tre su tutti, in ordine cronologico: mons. Gianfranco Ravasi, che ho conosciuto grazie a mio padre, il quale non sempre ha condiviso le mie scelte di vita come imprenditrice. Parlò di me a mons. Ravasi, che iniziò a invitarmi a presentare i suoi libri. Un giorno mi disse: “penso che tu non sia così male…”».

Il secondo testimone?

«A un incontro del Forum Ambrosetti, nei primi anni del 2000, fu invitato l’allora card. Joseph Ratzinger. Ci arrivai carica di pregiudizi, ma con dentro una forte domanda sulla fede. Sono rimasta assolutamente affascinata dalla sua intelligenza – proprio nel senso di saper leggere oltre l’apparenza – e dalla sua umiltà. In vita mia non avevo mai visto una combinazione così dei due aspetti: da lui, il carisma usciva prepotentemente, smontando tutto quel che avevo dentro». 

Per quale motivo in particolare? 

«Nel mio mondo imprenditoriale, spesso ciò che conta è esibirsi ed esibire. Ratzinger, invece, era come un monaco eremita del Medioevo…». 

L’ultimo testimone che voleva citare?

«Salvatore Martinez (Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo, ndr), a capo di un movimento a cui non appartengo e non ho appartenuto, ma che in periodi di crisi della mia vita, ad esempio per la separazione col mio ex marito, mi ha preso per mano, invitandomi ad alcuni pellegrinaggi: io, “irregolare” in quanto divorziata, partii quindi con loro a Gerusalemme, poi a Lourdes. Insomma, nell’epoca delle beauty farm e della new age, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci accompagni. Senza rigide appartenenze ecclesiali». 

Marina Salamon

In una recente intervista, parla dei momenti di studio e preghiera che si ritaglia nella sua pur intensissima vita, per affrontare quelle «ardue domande che si fanno strada in ognuno di noi ed esigono risposta»: a cosa si riferiva?

«Le ardue domande non riguardano l’esistenza di Dio, su cui non ho dubbi, ma il come riuscire a tenere insieme l’insegnamento del Vangelo con le scelte di lavoro, con la famiglia e la vita in genere. Appena riesco, quindi, mi “prenoto situazioni” per poter meditare e studiare: pellegrinaggi, ritiri spirituali o periodi in conventi dove vado senza pc, solo con libri, quaderno e penna. Sono stata, ad esempio, a Bose e a Camaldoli. E sono iscritta, assieme a mio marito, all’Istituto di Scienze Religiose di Verona – dove sto lavorando a una tesi su don Milani -, oltre a frequentare un Master in dialogo interreligioso a Venezia».

Riguardo a don Lorenzo Milani, che cosa della sua testimonianza l’ha colpita e ancora considera importante?

«Avevo 10 anni quando trovai in casa la prima edizione di “Lettera a una professoressa”: già da giovane mi provocava in ciò che mi era più scomodo, è questo era per me commovente, sapeva davvero muovermi il cuore. Capii che non potevo accontentarmi dei miei privilegi, che erano stati soprattutto culturali, venendo da una famiglia colta e aperta al mondo. Don Milani sa invece essere duro come il Vangelo del giovane ricco». 

Come iniziò a concretizzarsi questo suo bisogno di cambiamento?

«Facendo caritativa con CL: andavamo a casa degli immigrati meridionali, case senza pavimento e coi bagni in bugigattoli esterni. Anni dopo conobbi Pietro Ichino (noto giuslavorista, ndr), citato da don Milani come “pierino”, perché i due si conobbero quando Pietro era piccolo. Anche lui mi raccontò come il sacerdote gli cambiò la vita».

“Un’imprenditrice alla scuola di don Milani”: che cos’ha imparato, e che cosa, ancora, impara da lui?

«L’amore per la vita e la valorizzazione di ogni persona. Nel mio caso, soprattutto nelle mie aziende. L’economia, però, si è pesantemente finanziarizzata, e questo ha avuto un impatto su tante scelte delle mie aziende, che a volte ho vissuto con grande angoscia, come una ferita». 

Non è possibile trovare un punto di equilibrio tra persona e finanza? 

«Lo sto cercando in ogni mia scelta. Mi son sempre sentita un genitore nei confronti di tutte le persone che lavorano con me: genitore nei termini di responsabilità nei loro confronti. Ma nei prossimi anni – ne sono convinta, basta leggere le statistiche – l’Italia andrà in crisi, con forti ripercussioni sociali. Il calo demografico è troppo forte, non c’è possibilità di invertire questa tendenza, se non in futuro».

A livello educativo, di trasmissione della fede e dei valori, qualcosa però si può sempre fare. Su questo, cosa può dirci don Milani oggi?

«Don Milani era ed è un profeta e quindi va ascoltato: da giovanissima pensavo fosse troppo “di sinistra”, ma dopo capii che mi sbagliavo. Quando, ad esempio, ai sindacalisti diceva che, una volta conclusa la lotta al fianco dei lavoratori, sarebbe tornato nella sua chiesa, intendeva dire che i valori della fede vanno ben oltre quelli secolari, politici. Dovremmo quindi ripartire da valori forti e chiari, scomodi ma profetici: la Chiesa innanzitutto ha questo compito, questa grande responsabilità educativa».

La Chiesa, però, è sempre più minoranza…

«Non è un problema, anzi può essere positivo: il mondo viene cambiato dalle idee e dai testimoni che le incarnano».

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Laura Vincenzi e il suo sguardo sempre fisso sul Regno

13 Mar

Il 17 marzo a Santo Spirito la Via Crucis con i testi di Laura Vincenzi. Il testamento di un’anima nella prova ma sempre, profondamente, radicata nella fede 

di Andrea Musacci

«Tutta la vita è bellezza nella sua trepida attesa. Nulla nella vita delude, nulla ci inganna, perché la vita non tanto deve darci qualcosa, quanto piuttosto deve far crescere nel cuore dell’uomo la speranza, perché, crescendo la speranza, il cuore dell’uomo si renda capace sempre più, si dilati sempre più ad accogliere un Bene che rimanga infinito. Così l’anima si proporziona al dono di Dio».  (don Divo Barsotti)

La postura della fede è l’abbraccio. L’abbraccio come gesto semplice, così profondamente umano, nel quale l’abbandono non è sinonimo di dispersione di sé, ma di un ritrovarsi, “perdendosi” nell’Altro.

Si avvicina l’attesa Via Crucis prevista per venerdì 17 marzo alle ore 17.45 nella chiesa di Santo Spirito a Ferrara, sul tema “Abbracciare la Croce = Vivere l’Avventura”. Una Via Crucis particolare per percorrere le Stazioni con le meditazioni tratte dalle lettere della Serva di Dio Laura Vincenzi al fidanzato (nella foto, i due insieme), nella chiesa in cui la giovane amava rifugiarsi nei momenti più difficili della malattia che l’ha segnata, temprata, santificata. Quella Croce, appunto, su cui Laura ha saputo non perdersi ma ritrovare, con ancora più forza e intensità, Dio, quell’Assoluto vicino che l’ha accompagnata, sorretta, abbracciata nelle drammatiche fasi che ha iniziato a vivere ancora 21enne: la scoperta di un rigonfiamento nel piede sinistro, l’operazione, la chemio, l’amputazione dell’arto, il calvario che continua, fino al ritorno alla Casa del Padre il 4 aprile 1987. Un calvario fatto di dubbi, paure, di «acque nere», come le chiama lei, ma sempre irrimediabilmente attraversate dalla fede, dall’abbandono dentro quell’abbraccio con l’Eterno. Una lotta nella gioia, la sua, che cercheremo qui di ripercorrere brevemente attingendo ad alcune sue riflessioni contenute nella Via Crucis.

PIANGERE CON CHI PIANGE

«Non ci si perde, non si affonda, Egli ci ama, l’uomo non scompare. Dio mi ama; quanto più mi ama, tanto più io sono. Se mi perde, Dio perde sé stesso, perché se ama, Egli è più in colui che ama che in Sé». (don Divo Barsotti)

Nel luglio 1984 a Laura compare un piccolo rigonfiamento nel piede sinistro che i medici diagnosticano come semplice cisti. In poche settimane però il numero dei noduli cresce. Un chirurgo del Traumatologico di Bologna decide di operarla ritenendo che si tratti di “sarcoma sinoviale”. L’esame istologico conferma purtroppo la diagnosi. Comincia la dura prova della ragazza di Tresigallo. «Bisogna – scrive lei stessa – che il Signore mi aiuti a tenere sotto controllo la situazione perché io non voglio essere schiava della paura, ma al limite, tutt’al più, convivere con il male, che significa Amare nonostante il male». Ma la tentazione di disperare, di non perdersi nell’abbraccio col Dio-Amore ma nel vuoto dello sconforto, a tratti è grande. «Non è facile tenere sotto controllo le “acque nere”», sono ancora sue parole. «Sento che ci sarà molto da imparare nel campo della pazienza, che c’è tutto un altro aspetto della serenità da coltivare (…), per essere di aiuto agli altri».

Essere di aiuto agli altri: nel pieno dello smarrimento, Laura riesce a vedere oltre a sé, a trovare nel cuore l’abbraccio del Signore nel Suo essere sempre Presente, sempre attesa di noi. «Lo sguardo al Crocifisso Le ha insegnato il valore del pianto», scrive mons. Perego nella prefazione alla Via Crucis. «Piangere con chi piange ha fatto uscire la sofferenza di Laura dall’individualismo e dal ripiegamento su sé stessa, l’ha aiutata a superare i tempi della Quaresima per aprirsi allo stupore e alla gioia della Pasqua».

SERENA FINO ALLA MORTE

Spesso «più che l’immortalità, noi desideriamo la sopravvivenza» ma «in realtà la vita eterna è Dio medesimo, perché Egli solo è la vita e l’eternità. Ed è difficile accettarla. Non si può di fatto senza morire a noi stessi». (don Divo Barsotti)

«Signore fa’ che i miei occhi rimangano sempre attratti da ciò che veramente conta, e che è la certezza del Regno, dell’eternità insieme a te». Ripenso a queste parole scritte da Laura nel suo testamento spirituale pochi giorni di rendere l’anima a Dio. E mi torna in mente un’immagine che Guido Boffi, il suo fidanzato, evoca nelle riflessioni contenute in “Lettere di una fidanzata” (ed. AVE, 2018): le ultime ore di Laura trascorse assieme a lui, ai fratelli e ai genitori a guardare un film in televisione. «Attimi di comunione profonda tra tutti noi», scrive Guido. «Vivere la morte non passivamente ma nella fede e nell’amore, è la presenza stessa della resurrezione», scrive don Barsotti, che ho voluto mettere in dialogo con Laura. Parole che sembrano disegnate sulla vita della giovane: una parola – detta e insieme vissuta – per ognuno di noi, su come si possa «vivere l’Avventura».

***

(I brani di don Divo Barsotti sono tratti dal suo libro “Credo nella vita eterna”, ed. San Paolo, 2006)

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Vivere con Dio accanto: suor Teresa e suor Antonella si raccontano

13 Mar

Le due Missionarie di San Carlo Borromeo hanno testimoniato la propria vocazione l’11 marzo nel Campus “Santa Teresa” di Ferrara

Una vita bella, in Dio. Nella quale le domande più profonde rimangono ma nella consapevolezza che Lui è presente.

È stato un bel pomeriggio di testimonianze quello svoltosi l’11 marzo nel Campus “Santa Teresa” di Ferrara (complesso di San Girolamo), organizzato da Comunione e Liberazione sul tema “Ideale e Vocazione”, in collaborazione con Gioventù Studentesca, Associazione Genitori Martin e Comitato Card. Carlo Caffarra. Sono intervenute suor Teresa Pedini e suor Antonella Piazzoli delle “Missionarie di San Carlo Borromeo”. Le Missionarie nascono nel 2005 grazie a suor Rachele Paiusco, nel solco dei Missionari della Fraternità San Carlo, nati 20 anni prima grazie a don Massimo Camisasca, ora Vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla. Le Missionarie attualmente sono 31, di cui 15 a Roma e le altre a Nairobi, Denver, Grenoble, alla Magliana a Roma.

Vite prese per mano e trasformate

Originaria di Imola, suor Teresa ha studiato Architettura a UniFe, e dal settembre 2018 vive a Roma nella Casa di formazione delle Missionarie, nello stesso edificio dove si trova la Casa del centro. Qui, si occupa dell’accoglienza degli ospiti – perlopiù liceali e universitari. Nel dicembre 2021 ha professato i voti semplici. «La nostra è una vita bella – ha spiegato -, orientata a Dio, in Dio. Nei giovani che accogliamo, ho visto trasformazioni inattese, come ragazze confessarsi da noi quando non lo facevano da 5 anni. Per il resto, cerchiamo di tirar fuori loro le domande che hanno, e di educarli all’affettività e all’uso attento e “distaccato” delle nuove tecnologie».

Suor Antonella, 34 anni, compie, invece, quest’anno i primi dieci anni nelle Missionarie. Nella sede di Roma si occupa dell’economato. «La vocazione – ha spiegato – è rapporto di ognuno con Dio, col Mistero fatto carne, quindi non è solo forma, immagine o azione. È la storia dell’Amore che compie la vita di ogni persona». Una vita, la sua, educata fin in famiglia alla fede, nell’oratorio parrocchiale, e grazie a due figure di sacerdoti, fra cui don Andrea, decisivo per la sua conversione. Ma il grido del cuore davanti ai drammi della vita (la separazione dei genitori, la morte di un coetaneo) era forte: “perché?”, perché Dio permette tutto questo? «Nessuno sapeva rispondermi». L’amicizia con don Andrea e altri giovani, «una vita bella e semplice, un punto di luce», la instraderà lungo il proprio cammino, nell’incontro con CL, e poi con la San Carlo. «I miei “perché?” ci sono ancora, ma ora so che Lui rimane con me, e che mi ha cambiato e ancora può cambiare il cuore, quindi il modo di affrontare le circostanze».

L’altra svolta, per lei, sarà dopo la visita a un Monastero di clausura di Clarisse in Svizzera. «Capii che la felicità vera è solo vicino a Dio, che la vita può essere piena e felice (prima non lo credevo), e volevo condividere questa mia scoperta con tutto il mondo».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

(foto Pino Cosentino)

Giovani, annoiati e creativi: e noi cosa offriamo loro?

13 Mar

Incontro a Ferrara sugli adolescenti: le sofferenze post pandemia, le testimonianze da Sambe e WebRadio Giardino, proposte di educazione condivisa

Insicuri, annoiati, rabbiosi. Ma anche desiderosi di bene, di una comunità educante. Nel parlare dei giovani – in particolare degli adolescenti – si rischia sempre di essere troppo paternalistici o “sociologici”. Da quest’approccio ha provato a uscire l’associazione “Ferrara Bene Comune” (FBC), proponendo, nella serata del 10 marzo, un incontro organizzato con CSV Terre Estensi, in Sala della Musica, moderato da Patrizio Fergnani (vice Presidente FBC), e con una 70ina di presenti. “Essere giovani in una città che invecchia”, il titolo scelto, a dire di un futuro che tanto roseo non sembra, e di un presente fatto di contraddizioni e difficoltà.

NUMERI CHE PARLANO CHIARO

Dai dati è partito Guglielmo Bernabei, Presidente di FBC (e nostro collaboratore), con la presentazione della ricerca “Tra Presente e futuro. Essere adolescenti in Emilia Romagna nel 2022” realizzata dall’Osservatorio Adolescenti del Comune di Ferrara con la collaborazione del Servizio Politiche sociali e socio-educative della Regione Emilia-Romagna. Dai 15mila ragazzi coinvolti (di età compresa fra gli 11 e i 19 anni), è emerso la loro ricerca di «una comunità educante, attiva, cooperativa». Il periodo pandemico, in particolare, è stato percepito da tanti come «spazio vuoto, sospeso». Da qui, la loro fame di relazioni nuove, diverse.

Dall’indagine risulta che siano due i luoghi di maggior disagio per gli adolescenti: la scuola e l’on line (la metà di loro passa almeno 4 ore davanti al pc). Qui, maggiormente, emergono ansia, noia, insicurezza, rabbia e solitudine. La gioia e la fiducia, al contrario, vengono dagli amici e dalla famiglia (pur con alcuni dati negativi da non sottovalutare). Insomma, la situazione è complessa ma non tragica: «i giovani vogliono esprimere la propria creatività, hanno voglia di conoscere, sono curiosi», ha concluso Bernabei: «hanno voglia di futuro».

TESTIMONIANZE DEI GIOVANI

Una «voglia di futuro» espressa da Tania e Anna (foto a sx) dell’Oratorio di San Benedetto: la prima, 22 anni, educatrice con la Lingua dei Segni, è partita da tre verità: «il bene genera il bene, l’educazione è cosa di cuore, in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene. A me – ha proseguito – la vita dell’Oratorio ha salvato nella dimensione della relazione. Ma anche noi ci interroghiamo sulla nostra insufficienza, su dove sbagliamo se tanti giovani non sono attratti da noi. Una cosa è certa: se non agiamo nel bene, questa città muore». 

Per Maria Vittoria Govoni (foto a dx), 25 anni, vice presidentessa di Web Radio Giardino (aps e spazio culturale nato nel 2017 per raccontare la città e i mondi giovanili), la domanda è aperta: «come Radio stiamo vivendo una crisi. Come fare – ci chiediamo anche noi – per trovare forze nuove e non abbatterci?».

La risposta, per Micol Guerrini, Assessora alle politiche giovanili del Comune di Ferrara, sta soprattutto nella comunicazione: «in città non mancano iniziative e proposte, ma dovremmo cercare di raggiungere più i giovani, soprattutto attraverso le scuole». Sarà. Fatto sta che le persone si avvicinano – si attraggono – sempre una a una, sempre chiedendo loro “tu come stai?” (come ha detto Tania). Sempre incontrandole sul loro cammino. 

PROPOSTE DI EDUCAZIONE CONDIVISA

Su queste basi è nato anche il progetto Family StAR (Student At Risk), che parte dal modello delle Family Group Conference. Ne ha parlato Francesca Maci, Docente all’Università Cattolica di Milano. Il progetto è rivolto a studenti e studentesse con difficoltà scolastiche: il disagio personale viene affrontato non solo dalla famiglia o dagli insegnanti, ma anche – se lo studente lo vuole – da chiunque possa aiutarlo (amico, compagno di classe, vicino di casa, parente ecc.), e da professionisti, in maniera partecipata e condivisa. Insomma, «sapere esperto e sapere dell’esperienza» si alleano tra loro per trovare soluzioni pratiche attraverso un percorso personalizzato. StAR, per ora, è stato sperimentato a Milano, Lodi, Sondrio e Salerno su un totale di 540 studenti. Si è accennato alla possibilità (tutta ancora da valutare) di portarlo anche a Ferrara.

E sull’idea di rete solidale si fonda anche il progetto dei Patti Digitali di Comunità (PDC), nati nel 2018 grazie al MEC (Media Educazione Comunità), rappresentati da Matteo Maria Giordano (con Maci e Bernabei in foto), il quale con amara ironia ha illustrato la realtà: lo schermo di un tablet o smartphone sta sostituendo, per molti bambini, anche piccolissimi, il volto della madre (o del padre). Chi non ha mai visto, al tavolo di un ristorante, un bimbo non far altro se non fissare uno smartphone? «È una scelta – ha detto Giordano – fatta non per il bambino, ma dai genitori per loro stessi, perché vogliono essere al centro, non disturbati dal figlio». Da una recente indagine, il 72% delle famiglie con bimbi 0-2 anni ha ammesso di usare dispositivi digitali durante i pasti. Ma gli effetti, in particolare sui bambini, sono gravi, perché provocano dipendenza, quindi mancanza di sonno, di memoria, di concentrazione. Oltre a inibire la creatività e appunto a impoverire le relazioni. «Se continuiamo così, fra 20 anni avremo tanti giovani con disturbi di questo tipo: sono i bambini di oggi», ha ammonito Giordano. Bambini che perdono la relazione coi genitori, inghiottiti dallo schermo che loro stessi li mettono davanti agli occhi. 

I PDC sono, quindi, un tentativo per far incontrare fra loro i genitori e decidere, insieme, alcune regole/principi da applicare ognuno coi propri figli. A partire da 5 basi: sì alla tecnologia, ma nei tempi giusti; preparare i bambini all’autonomia digitale (ma graduale e attenta); regole chiare e dialogo; adulti informati e responsabili; alleanza tra genitori. Altre informazioni su https://pattidigitali.it/

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 17 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Oxana e Valery, coppia russo-ucraina a Ferrara: «ecco le menzogne di Putin»

28 Feb

«Con Putin siamo tornati all’ideologia imperialista sovietica. Non pensavamo potesse spingersi fino a questo punto». Sono una coppia speciale, Oxana Sivaeva e Valery Prytulin: lei, infatti, è russa, lui è ucraino. Vivono insieme a Ferrara da tre anni, dopo essersi conosciuti a Napoli e aver vissuto un periodo a Latina. Lui è autista per l’ACFT, lei in cerca di lavoro.

Anche la vita di Oxana dal 24 febbraio 2022 è cambiata: da lì, ha iniziato ad aiutare il popolo ucraino e la parrocchia dei cattolici ucraini di Ferrara.

Due pomeriggi alla settimana Oxana si reca nella parrocchia di via Cosmè Tura guidata da padre Vasyl (e prima anche al Centro Rivana) per aiutare a raccogliere e ordinare vestiti e farmaci da spedire coi furgoncini nel Paese in guerra. «Grande è stata l’accoglienza – ci spiega -, da parte di ucraini e italiani. E io e Valery aiutiamo anche direttamente l’Ucraina, spedendo ad esempio medicine e altro alla 128a Brigata d’assalto». «Conosco tanti ragazzi che combattono e purtroppo ho perso tanti amici in questa guerra», ci spiega Valery con la voce strozzata dalle lacrime. «Noi, per ora, purtroppo abbiamo bisogno di armi», prosegue. «E mi spiace che molti in Italia non capiscano che Putin non vuole fermarsi all’Ucraina ma punta alla Polonia, alla Moldavia, ai Paesi baltici. Anni fa – prosegue – nel mio lavoro da autista in un’occasione ho sentito professionisti russi qui in Italia parlare al telefono dei piani della Russia – segreti – di invadere Svezia e Polonia». Per Valery, quindi, «Kiev sta combattendo per tutta l’Europa, per il mondo intero, contro la minaccia russa. Se non lo fermiamo adesso, è inimmaginabile cosa potrà fare». 

Oxana e Valery ci raccontano anche della martellante propaganda del governo russo che dipinge l’Ucraina come un «covo di nazisti», l’esercito ucraino come «l’unico responsabile dei bombardamenti sulle stesse città ucraine, e responsabile degli stupri e delle morti dei bambini. Ho un’amica – ci racconta Oxana – che una volta al telefono mentre criticavo Putin, mise giù perché aveva paura di essere intercettata. Proprio come accadeva in URSS». E come nell’Unione Sovietica, l’ideologia dominante fa percepire la “Madre Russia” «come superiore a tutti i Paesi vicini, a tutta l’Europa: gli altri Paesi europei, secondo questa mentalità imperialistica, dovrebbero servire solo a rifornire l’economia russa:non dovrebbero essere indipendenti dalla Russia».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Misericordia e vita giusta nel Manzoni

28 Feb

Antonia Arslan e Davide Rondoni il 20 febbraio sono intervenuti a Ferrara su “I promessi sposi”

Cos’è che rende una vita davvero giusta? Su questo tema centrale per le donne e gli uomini di ogni tempo si è riflettuto lo scorso 20 febbraio interrogandosi su un capolavoro della letteratura di ogni tempo, “I promessi sposi”.

Nella sede dell’Università di Ferrara in via Adelardi si sono confrontati Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origine armena, e Davide Rondoni, poeta, scrittore e direttore artistico del Festival Della Fantasia. L’incontro “Che cosa c’è di allegro in questo maledetto paese?” – primo evento del Festival 2023 che si svolgerà l’11, 12 e 13 maggio in Castello e contributo in preparazione al concorso con lo stesso titolo – è stato organizzato da Accademia e Fondazione Enrico di Zanotti, in collaborazione con altre associazioni e istituzioni.

Arslan: «in un atto di amore, Manzoni si è inchinato agli umili»

Arslan nel suo intervento è partita innanzitutto dalla biografia di Alessandro Manzoni, «romantico non nichilista, personaggio complesso, nevrotico folle, con profonde ferite interiori». Un vero «genio», autore di «un romanzo che non fu per nulla, fin dall’inizio, un santino della nuova Italia, ma un grande romanzo d’avventura».

Nel libro, Manzoni «riesce ad accettare il mondo degli umili con unità personale, lui aristocratico, riesce a capire la realtà dei semplici e, ammirando la loro fede, a raccontarlo». Un mondo, quello degli umili, per nulla «mitizzato ma raccontato» da chi è stato capace di comprenderne il nucleo essenziale: «una semplice dirittura e onestà». Con «un continuo atto di volontà – ha proseguito la scrittrice -, Manzoni ha piegato sé stesso e si è inchinato, in un atto di amore, con ironia e chiarezza di linguaggio, a questo mondo» così diverso dal suo.

“I promessi sposi” sono «una pietra di inciampo, perché lì si frantuma un modo di scrivere precedente, pesante». Manzoni riesce, invece, a realizzare «un’avvolgente spirale di avventure, vissute da personaggi che ama, che descrive vivamente, con dialoghi della più alta qualità letteraria».

Rondoni: legame tra sapienza del popolo e Provvidenza

Manzoni nel romanzo «racconta una storia che non è consolatoria come tanti vogliono far credere», il popolo da lui narrato «è una questione tutt’altro che tranquilla e pacifica», ha spiegato invece Rondoni. 

Quel «sugo di tutta la storia» che Renzo e Lucia colgono nel finale, è «il loro tempo, è comprendere loro stessi. Non c’è bisogno di intellettuali, di un’élite per coglierlo, per avere questa sapienza: il “sugo della storia” è il senso di avere giustizia nella vita». Insomma, non evitare i guai, «dividendo la storia in fortunati e sfortunati», ma avere fede, «la fede del popolo, un’esperienza di un popolo più grande di sé». Popolo la cui vita «è determinata da cose non create dal popolo stesso, ma che lo generano». 

Da qui, il tema della Provvidenza, «parola descrittiva della Misericordia» – a sua volta «bomba che fa esplodere tutto, che non ha confini»: Provvidenza  che fa «leggere il valore dell’esistenza a un altro livello, cercando di capire cos’è che rende una vita giusta». Compito supremo per l’uomo, questo: significa comprendere «come la libertà dell’individuo entra nel tempo, come il singolo sta nel tempo con più libertà e profondità, senza dividere la storia in fortunati e sfortunati». È, infatti, il cuore stesso a «non poter accettare che la vita si divisa solo in fortuna e sfortuna».

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 3 marzo 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio

Mostra di Matteo Venturini alla Galleria del Carbone

20 Feb

La genesi, la chiamata, il ritorno. Un cammino animato da una sana inquietudine il cui approdo è in parte incerto (come la stessa genesi?).

Fino al 26 febbraio nella Galleria del Carbone di Ferrara è visitabile la mostra di Matteo Venturini “Non sei di segno minore”. In quella che è la sua prima personale, l’artista espone due cicli pittorici: “Genesi” e “Mare dentro” ed alcune altre opere.

Venturini nasce a Ferrara nel 1988. Laureato in Quaternario, Preistoria e Archeologia a Ferrara, in vita ha fatto diversi mestieri tra cui, oggi, quello di educatore. La sua ricerca pittorica sboccia da una passione costante per il disegno, ereditata dal padre Francesco. Il suo percorso è stato poi perfezionato grazie alla conoscenza di alcuni artisti come Gianni Cestari, Marcello Darbo e Laura Zampini, oltre alla frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. La mostra gode del Patrocinio del Comune ed è visitabile dal mercoledì a domenica ore 17-20.

Andrea Musacci

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 24 febbraio 2023

La Voce di Ferrara-Comacchio