Tabù rimosso a lungo in Turchia, ora nasce una nuova coscienza

Da sinistra, Cengiz Aktar, Antonia Arslan, Bernard Guetta e Andrea Pipino
Un genocidio che ha tentato di distruggere una cultura millenaria, un crimine per troppi decenni rimosso. Il terribile biennio 1915-’16 nel quale circa 1,5 milioni di armeni morirono per mano dei famigerati “Giovani Turchi”, è stato al centro dell’incontro “Una ferita ancora aperta”, svoltosi ieri mattina nella Sala 1 del Cinema Apollo di Ferrara.
Andrea Pipino di Internazionale ha introdotto spiegando come la Turchia «non abbia del tutto ancora fatto i conti con quella tragedia». Prima ha negato, poi “incolpato” le stesse vittime di aver provocato il genocidio, grazie al quale la componente armena «è quasi interamente scomparsa, e la cui memoria collettiva è stata quasi del tutto eliminata».
Antonia Arslan, scrittrice armena nota soprattutto per “La masseria delle allodole”, ha posto l’attenzione sull’uso, spesso fuori luogo, del termine “genocidio”, coniato nel ‘44 dall’ebreo polacco Raphael Lemkin in riferimento al nazismo. Davanti alla «distruzione non solo fisica ma anche di una cultura millenaria», ha proseguito la Arslan, «non servono discorsi astratti, ma ricordare e denunciare eventuali nuovi casi».
È quindi intervenuto Cengiz Aktar, scrittore e politologo turco, il quale ha messo in evidenza come «negli ultimi anni la società turca abbia rimesso in discussione questo tabù del genocidio, che è alla base del moderno stato». Spesso sono giovani, musulmani, accademici ed editori a riaprire il dibattito: «il revisionismo ufficiale fatica ormai a stare in piedi».
Sta rinascendo, insomma, «una fierezza armena, un ritorno alle radici» che, ha aggiunto Bernard Guetta, di France Inter, può aiutare la Turchia a comprendere che «per salvaguardare la propria unità nazionale deve riconoscere la molteplicità delle radici e delle identità».
Andrea Musacci
Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 ottobre 2015
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