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Piera Wolf Ruiba, da oltre 60 anni in Francia ma col cuore a Portorotta

26 Gen

FERRARESI NEL MONDO / seconda parte. Residente a Évreux, in Normandia, per tanti anni ha vissuto a Longwy, nel nord est del Paese. A 7 anni è emigrata con la famiglia da Portorotta, vicino Portomaggiore, in cerca di fortuna. «Ci chiamavano “macaroni”, non è stato facile»

«Mi chiamo Piera Wolf Ruiba, sono nata il 1° marzo 1949 a Portorotta vicino Portomaggiore». Così inizia il racconto di un’insegnante emigrata, suo malgrado, 65 anni fa con la famiglia, quando ancora era una bambina.

«Mio padre aveva una zia in Francia, emigrata col marito nei primi anni del fascismo a Longwy, nel nord est del Paese, dove c’era tanto lavoro grazie all’industria siderurgica. Nel 1956 trascorre un anno con loro mentre cerca un lavoro e un alloggio per la famiglia». Poco dopo, la decisione di trasferirsi. «Il 3 gennaio 1957 siamo partiti io, i miei genitori e il mio fratellino Michele di 15 mesi».

Un’emigrazione totalmente economica, quindi, causata dalla mancanza di speranza nei confronti del nostro Paese. Dopo pochi anni, forse, il boom economico gli avrebbe fatti desistere dal partire. «Ma i miei genitori volevano essere sicuri di pagare gli studi a me e a mio fratello se ce ne fosse stata la necessità». Non fu facile per una bambina di 6 anni: «lo sradicamento fu duro per tutti. Grande fu la mia sofferenza nel dover lasciare le mie nonne, il resto della famiglia, le mie amiche…». A Longwy arrivano di domenica, «e il giorno dopo mio papà mi porta subito a scuola. Fu un trauma per me. Per fortuna la scuola mi piaceva, e forse perché parlavo già due lingue (il ferrarese e l’italiano) ho imparato il francese in soli due mesi. Forse è anche questa una delle ragioni che hanno contribuito al mio amore per le lingue, specialmente l’inglese, che poi ho studiato all’università». Ma integrarsi ed essere accettati non è stato per nulla semplice. «Quando siamo arrivati in Francia, in quella cittadina che a me sembrava sempre in fiamme, ho vissuto nel dolore e nella paura. E noi italiani eravamo anche vittime di razzismo, i francesi ci chiamavano “macaroní”. Anche per quello sono rapidamente diventata la migliore alunna della scuola».

Piera, poi, si laureerà, 20enne, all’università di Nancy-Metz, e inizierà subito a insegnare l’inglese. A Longwy vivrà fino al 1983, anno in cui sceglierà di seguire il marito in Normandia, dove ancora vive, per la precisione a Évreux, una cittadina a 100 km da Parigi e altrettanti dal mare. «La mia casa ricoperta di canne è tipica della Normandia rurale. Nelle città se ne vedono poche e sono sempre più rare, dato che al giorno d’oggi questo tipo di tetto costa moltissimo ed è molto difficile trovare la mano d’opera specializzata». A Évreux insegna dal 1983 al 2002, quando viene messa in pensione anticipata per problemi di salute. «Sono ancora in contatto con una decina dei miei ex studenti e almeno cinque di loro sono diventati anche loro professori d’ inglese. Bella soddisfazione!».


Il trauma nel dover lasciare la propria terra

«Dell’Italia che ho lasciato da bambina, mi manca tutto. Ho sofferto moltissimo della nostra emigrazione. Al giorno d’oggi si direbbe che ho sofferto di depressione e di trauma. Ma negli anni ‘50 e ‘60 non era ancora di moda la psicoterapia…», ci racconta con mestizia. «Ho lasciato un paesino dove tutta la gente si conosceva e dove avevo molti parenti, specialmente le mie nonne, con cui ero cresciuta molto più che con i miei genitori. Finché ho vissuto a Portorotta tutte le case erano come se fossero le mie case e tutta la gente era la mia famiglia».

A Portorotta e nella zona di Portomaggiore Piera ci è ritornata, fino al 1970, per le vacanze, e successivamente due o tre volte all’anno, portando con sé amici e amiche. «Nel 2015 – ci racconta – per la Fiera di Portomaggiore abbiamo organizzato una riunione dei Ruiba, la “Ruibata”, e ci siamo ritrovati in più di 40 per una bella festa. L’ultima volta che sono andata a Portomaggiore è stata nel 2017. Adesso la mia salute rende difficile il viaggio. E quando mi sposto vado a Stoccolma dove mia figlia Julia e la mia nipotina Eva abitano da otto anni.

Ho ancora tanti amici e parenti nella zona dove sono nata, e adesso che non mi sposto più, siamo in contatto per telefono e tramite FaceTime. Sono un’incurabile nostalgica, sarà anche per questo che non mi sono mai dimenticata né l’italiano né il ferrarese». 

Andrea Musacci


(Sul prossimo numero, il terzo racconto di ferraresi nel mondo. Il primo, dedicato alla storia di Luca Azzolini, è uscito sul numero del 21 gennaio scorso)

Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 28 gennaio 2022

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L’arte davanti al “mistero incomprensibile”: un dialogo con Gauguin

17 Feb

Isabella Guidi dedica un libro al pittore francese, suo Maestro: uno sguardo “religioso” sul rapporto tra vita e pittura

di Andrea Musacci

buonjour ms gauguinNella contemplazione artistica o nell’immersione letteraria, si ha spesso l’impressione che a sfuggire dalle dita e dalla mente sia quello che comunemente e “ragionevolmente” indichiamo con “realtà”. E, in maniera speculare, spesso capita che, una volta destati dal sonno, continuiamo a sperimentare una persistente consistenza di brani di esperienze oniriche vissute nelle ore notturne.

Sensazioni, queste, che ci sentiamo di condividere con Isabella Guidi – pittrice ferrarese cresciuta sulle spalle di giganti come don Franco Patruno, Marcello Tassini e Gianni Vallieri – che recentemente ha scelto di esporre una quarantina di sue opere, realizzate dal 2006 in poi, nella personale “Avrei voluto dire: Bonjour Ms Gauguin. Omaggio alla Bretagna”, dal 18 gennaio al 16 febbraio nel Centro Culturale Mercato di Argenta. Mostra accompagnata da un libro omonimo realizzato dalla stessa Guidi, una sorta di diario/romanzo attraversato da poesie e riflessioni sull’essenza dell’arte. Sì, perché, come tradisce il titolo, la storia raccontata è quella, immaginaria, dell’incontro fra due artisti, uno realmente vissuto, Paul Gauguin (1848-1903), e l’altra di fantasia, Leonor Lescaut, alterego dell’autrice e che, probabilmente, nel nome richiama la pittrice Leonor Fini, e, nel cognome, la “Manon Lescaut” protagonista del romanzo di Prevost del 1731. In ogni caso, con questa pubblicazione la Guidi concretizza, seppur attraverso la letteratura, il sogno di incontrare il suo Maestro, Gauguin, in un luogo da entrambi prediletto e spesso visitato: “amo la Bretagna – scrisse l’artista francese -, in essa trovo un che di selvaggio, di primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento il tono sordo, opaco e possente che cerco nella pittura”. Regione, la Bretagna, in cui Gauguin vivrà in quattro periodi diversi, fra il 1886 e il 1901 (soprattutto a Pont Aven).

Dalla solitudine a una comunione fra anime

Il libro inizia con la solitudine della protagonista sulla spiaggia bretone, una solitudine fatta di malinconica rassegnazione, di abbandono dolce ma non privo di sofferenza. Condizione, però, che Leonor sa tramutare in una contemplazione introspettiva: “rimaneva solo il dialogo fitto e sussurrato delle cose con l’orizzonte e un silenzio che predisponeva all’ascolto”, scrive la Guidi. A un certo punto, la “visione”: nell’acqua compare un uomo, Gauguin, in una scena grottesca e irreale, che volutamente l’autrice colloca fuori dal tempo. Quasi un’apparizione: “Poi alzò lo sguardo / e incrociò i suoi occhi / e tutto non fu più così / incomprensibile…”.

Per i lettori e le lettrici sarà facile immaginarsi questa continua e sottile commistione di realtà e fantasia, questa sospensione del ritmo e della pesantezza del reale (nel senso più immediato e razionale): luoghi, gesti e particolari, parte della reale esperienza della Guidi, si intrecciano con luoghi e gesti generati dall’immaginazione. Una sorta di “Midnight in Paris” trasferita sulla costa nordoccidentale della Francia, dove il sogno e l’arte sopperiscono all’uggia ordinaria di una società competitiva, gretta, calcolante. “In questo tempo – fa dire la Guidi a Gauguin nel libro (parafrasando in modo fedele pensieri da lui scritti nei suoi libri o nelle lettere) – l’individuo si muove seguendo l’idea comune, quella che semplifica di più la propria esistenza, non quella che la rende più vera. Non si fa troppe domande”. “Io – prosegue il Gauguin che nel libro dialoga con Leonor – mi prendo il tempo di capire! Capire, dedicando la vita a capire! (…) Acquisire sapere. L’impegno, la fatica, il coraggio di dire ‘devo imparare’. Saper guardare, saper ascoltare…saper mettersi in relazione con il mondo, saper capire. L’umiltà farà la differenza”.

E nel libro, la relazione è ciò che muove ogni cosa, non solo con i luoghi, coi quali i protagonisti vivono un forte rapporto fisico: i due personaggi si cercano tra loro di continuo, a tratti quasi si rincorrono, nelle reciproche presenze e assenze. Quest’intima comunione non appare in contraddizione con la pur desiderata e necessaria solitudine tanto di Gauguin quanto della Guidi. Come se a scandire i silenzi e i vuoti fosse un ritmo unico, lo stesso cosciente del fatto che la relazione con la verità passa, sempre, attraverso l’altro, uno sguardo amico (e mai invadente), uno sguardo profondo da condividere.

“Una terribile smania d’ignoto”

copertina libro isaGauguin, di sicuro, non rappresentava un modello esemplare di uomo virtuoso: temperamento irascibile e melanconico, spesso schivo e molto “ambiguo” in alcune scelte di vita. Di certo, uno spirito anticonformista ma, scrive la Guidi, “probabilmente antipatico a tutti perché scontroso, insofferente ai discorsi, adescatore incallito di ogni sottana di passaggio, indifferente alle critiche dei superiori, presuntuoso, potente nell’arroganza inimitabile, nelle decisioni improvvise”. Nel 1890 lo scrittore Charles Morice di Gauguin sottolineava l’“altezzosa nobiltà” ma anche il sorriso, che “non mancava di una dolcezza straordinariamente ingenua”. Una dolcezza infuocata, stordente, inebriante. Come le sue tele: vita e pittura si confondono, si richiamano e sovrappongono: “Paul era la Pittura, l’urgenza dell’anima”, scrive ancora la Guidi. “Paul metteva voglia e paura. Era il centro di un uragano dal quale Leonor era stata un giorno travolta”. “La pittura di Gauguin, per la protagonista, era il punto di partenza e di ritorno della propria anima, quell’anima senza tempo che sorvola sulle nostre misere quotidianità e si rivolge al sogno come unico frammento accettabile di realtà. La pittura di Gauguin era il luogo estetico dove vivere”. Come ha scritto la critica Anna Maria Damigella, l’arte per Gauguin era “un assoluto, il valore primario e il cardine della vita, il luogo dove si compongono i conflitti irrisolti nell’esistenza materiale e affettiva”. Non a caso, dunque, questo libro della Guidi è anche, e soprattutto, un libro sulla pittura, sul dipingere non tanto come “tecnica” ma come espressione di spiritualità, gesto profondamente umano, manifestazione concreta dell’anima. “Mi affaccio sull’orlo dell’abisso”, scrive Gauguin in “Noa Noa”, a Tahiti, pochi anni prima di morire. “Una terribile smania d’ignoto mi fa compiere follie. Quando finalmente gli uomini comprenderanno il senso della parola ‘libertà’? Voglio fare un’arte semplice, correre, perdere il fiato e morire follemente. Che mi importa della gloria? Sono forte, perché faccio ciò che sento dentro di me”. Le risponde, in un certo senso, con la propria pittura, con la propria esistenza, Isabella Guidi. Una risposta dolorosa perché impossibile, ma elargita nelle pagine del libro: “Sentivo – fa dire a Leonor – che voleva credere di non essere il solo a credere”. Al pittore e amico Émile Schuffenecker, Gauguin, col suo modo irruento, una volta disse: “non dipingete troppo dal vero. L’arte è un’astrazione, traetela dalla natura sognando davanti ad essa e pensate piuttosto alla creazione che ne risulterà; è il solo mezzo per salire verso Dio, facendo come il nostro Divino Maestro: creare”. Una salita, quella dello spirito, immensamente più difficoltosa di quella sugli scogli di granito delle coste bretoni. “Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?” è il nome pieno di tormento assegnato dal pittore a uno dei propri capolavori: un’opera struggente, sconvolgente, nata – per usare le parole dello stesso Gauguin – da “uno stato di vaga sofferenza e sensazione dolorosa di fronte al mistero incomprensibile della nostra origine e dell’avvenire”. Tutt’altro che un’infantile defezione dalla vita attraverso un inganno di sogni o un autoesilio in terre esotiche: quella di Gauguin è stata una ricerca sofferta, una tensione fin snervante che Isabella Guidi ha avuto il merito di raccontarci attraverso la dolce mestizia delle sue parole. “La pittura mi fa piangere” – fa dire nel libro a Leonor. “Mi consola, mi tormenta, mi manca, mi appaga, mi travolge, mi sconvolge”. Non male come “fuga” dalla vita.

Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 febbraio 2020

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“Qui Quo Quad” ha conquistato la 24 ore di Le Mans

9 Lug

Quattro ferraresi nella selezione che s’è imposta nel roller quad. E il team manager è stato l’estense Stefano Melandri

le mans 1Ci sono anche quattro ferraresi nel team vincitore della 24 ore di pattinaggio a rotelle a Le Mans in Francia. Tra sabato 30 giugno e domenica 1° luglio scorsi si è svolta, infatti, la 19° edizione della “24 Heures Rollers du Mans” ha partecipato anche la squadra “Qui Quo Quad”, formata da 5 bolognesi, 4 ferraresi e un tedesco.
Nella sfida dei roller quad (pattinaggio con i tradizionali pattini a stivaletto con due coppie di ruote) il team italiano, all’esordio nell’importante competizione francese, è risultato vincitore, contro ogni pronostico, su 12 partecipanti, con 149 giri totali compiuti sui 4,185 km del circuito Bugatti, contro i 145 della squadra danese, piazzatasi davanti a quella francese, quest’ultime due rispettivamente vicecampione e campione in carica.
Il team “Qui Quo Quad”, formatosi per l’occasione, era composto dai ferraresi Cinzia Lodi (FEST-Ferrara Skating Team), Monica Breveglieri (FEST-Ferrara Skating Team), Paolo Campi (Skating Club Rovigo) e Davide Cavazzini (Pattinatori Finalesi), dai bolognesi Paolo Bertacci (Pattinatori Bononia), Luca Bagnolini (Pattinatori Bononia), Stefano Civolani (Polisportiva Pontevecchio Bologna) – ex primatisti mondiali -, Paola Cristofori (Polisportiva Pontevecchio Bologna, sei volte campionessa del mondo negli anni ‘80) e Carlo Scalera (Pattinatori Bononia), e dal tedesco Klaus-Dieter Gutschmidt, che all’ultimo ha sostituito un altro ferrarese, Paolo Volta, infortunatosi quattro giorni prima della partenza. La compagine emiliana, classificatasi anche al 68° posto tra le 335 squadre totali (considerando le diverse gare, roller quad, pattini in linea e longboard) – ha visto anche la presenza di un altro ferrarese, il team manager Stefano Melandri.
I concorrenti si sono dunque alternati nel celebre circuito francese sino allo scoccare della 24esima ora dallo sparo iniziale dello starter, avvenuto alle ore 16 del sabato, due ore dopo le qualificazioni, che hanno visto il team italiano piazzarsi al 70esimo posto. Originale la partenza, coi primi frazionisti che compiono uno sprint per conquistare i propri pattini, allineati nel lato opposto della carreggiata, dando così il via alla lunga competizione.

Andrea Musacci

Pubblicato su “la Nuova Ferrara” il 09 luglio 2018

le mans 2

Il centese Vidoni vola in Francia con le sue foto

4 Lug

Vidoni - Les magies d'AlcineUn artista centese, Bruno Vidoni, è sbarcato nei Midi-Pirenei, per una collaborazione artistica tra il nostro territorio e un’associazione culturale francese. Fino al 27 agosto, la mostra inaugurata l’altro ieri, “Bruno Vidoni. Les magies d’Alcine et d’autres fantaisies photographiques” sarà, infatti, esposta al Museo Boudou di S.te Eulalie d’Olt (dedicato al poeta-scrittore Jean Boudou, nella regione Linguadoca-Rossiglione-Midi-Pirenei), ospite della nona edizione dei “Rencontres Photographiques di St Geniez d’Olt”, importante manifestazione di cultura fotografica. Organizzatori dei “Rencontres” sono Myriam Angilella – Scot (scrittrice, docente e direttrice della Galleria L’Arche) e il pittore e fotografo Joseph Auquier dell’associazione culturale M’Arts Mots Culture. I due proseguono così il proficuo rapporto con Roberto Roda del Centro Etnografico di Ferrara, con Casa Vidoni della vedova Marina Ferriani, e con i due curatori Greta Gadda ed Emiliano Rinaldi.

I “Rencontres”, che prevedono una quarantina di mostre fotografiche, alcune pittoriche e numerosi incontri letterari, si svolgono in otto località: Campagnac, Saint-Saturnin-de-Lenne, Saint-Martin-de-Lenne, Perrefiche-d’Olt, Sainte-Eulalie-d’Olt, Saint-Geniez-d’Olt, Prades-d’Aubrac, Castelnau-de-Mandailles. In parete tutte le fotografie esposte nella mostra “Orlando, le guerriere e il cavaliere inesistente”, presentata in due tappe tra febbraio e marzo scorsi al Liceo Dosso Dossi e alla Biblioteca Ariostea di Ferrara. Inoltre, saranno esposte altre fotografie inedite dell’artista centese. È prevista anche la pubblicazione di un catalogo in edizione bilingue, francese-italiano, e di uno in lingua francese. Per il finissage della mostra è prevista la presenza (ancora da confermare) di una piccola delegazione dei curatori ferraresi.

La scorsa estate, in occasione dell’ottava edizione dei “Rencontres” sono state presentate le opere di Roberto Roda (con “Scatti fugaci”) ed Emiliano Rinaldi per il libro “Piccola geografia della memoria, appunti di iconografia sismica”, scritto con Antonella Iaschi. Infine, lo scorso aprile Joseph Auquier ha esposto contemporaneamente proprie opere (dipinti, foto e disegni) in tre luoghi del nostro territorio: Casa d’arte “Il vicolo” a Bondeno (vicolo della Posta, 9), Antica Osteria Scciancalegn di Ponte Rodoni (via Virgiliana, 221), e Galleria del Carbone di Ferrara (via del Carbone, 18/a).

Andrea Musacci

Pubblicato (in versione ridotta) su la Nuova Ferrara il 04 luglio 2016

Auquier, le opere in parete al Carbone

4 Apr

[Qui la mia galleria fotografica della mostra]

Jospeh Auquier al Carbone

Joseph Auquier al Carbone

Sabato nella Galleria del Carbone di Ferrara Greta Gadda ha presentato la personale di Joseph Auquier “I sogni del signor Moreau”, visitabile fino al 17 aprile. Il riferimento è al pittore Gustave Moreau e al suo simbolismo arcano, che molto ispira le creazioni di Auquier. In parete vi sono 14 tele e 5 disegni realizzati tra gli anni ’90 e i primi del 2000, dal forte sapore mistico ed esoterico, divise in due periodi: nelle prime sono presenti anche strutture, geometrie e colori caldi, mentre nelle successive dominano apparizioni, auree spiritualiste e visionarie.

Joseph Angilella (questo il suo vero cognome, di origini veneziane) si occupa anche di fotografia, in particolare di nudo femminile, sempre con ricorrenti atmosfere fantastiche, che ricordano gli scatti ariosteschi di Bruno Vidoni. Per questo, in estate una mostra di foto dell’artista centese sarà esposta al Museo Marcel Boudou a Saint Eulalie d’Olt, in Francia, per continuare questo scambio artistico tra la Galleria L’Arche gestita da Auquier e la moglie Myriam Angilella-Scot, critica d’arte, e la triade Casa Vidoni (gestita da Marina Ferriani), Galleria del Carbone e Centro Etnografico guidato da Roberto Roda.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 04 aprile 2016

La Videoteca Vigor da stasera ospita il cinema francese

21 Ott

2767fa44c19ee94dd5b257368f6f0408“Le charme discret du cinema français” è il nome del nuovo ciclo di lezioni dedicate al cinema francese, organizzato dall’Associazione Feedback presso la Videoteca Vigor in via Previati, 18 a Ferrara. Ad ogni lezione monografica tenuta da un esperto seguirà una proiezione selezionata e presentata dallo stesso docente. Si comincia  stasera  alle 21 con una lezione dedicata al regista Jean Vigo, tenuta da Sandro Sproccati, alla quale seguirà, martedì prossimo, la proiezione di “L’atalante” (1934). Quattro i film realizzati da  Vigo: “A proposito di Niza” (1930), “Taris, o del nuoto” (1931), “Zero in condotta” (1933) e appunto “L’Atalante”, rimasto incompiuto per la morte del regista. L’ingresso agli incontri è libero e riservato ai soci Feedback. E’ possibile associarsi all’Associazione anche durante le stesse serate in programma.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 21 ottobre 2014

Migranti italiani in Francia nel Ventennio, tra politica e integrazione

6 Giu

Pinna Ariostea

“Migranti italiani tra fascismo e antifascismo. La scoperta della politica in due regioni francesi” è il titolo del libro presentato ieri pomeriggio alla Biblioteca Ariostea. L’autore, Pietro Pinna, è dottore di ricerca in Storia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e collabora con l’Università di Bologna. Nel corso dell’incontro, curato dall’ISCO di Ferrara, insieme all’autore han dialogato Alberto De Bernardi, dell’Università di Bologna, e Andrea Baravelli, dell’Università di Ferrara, presentati dalla dott.ssa Anna Quarzi. Il prof. Baravelli ha evidenziato l’importanza del saggio nel fornire nuove chiavi interpretative al tema, nel partire dalla realta’ territoriale francese (nello specifico, il nord-est minerario e il sud-ovest agricolo) e nel rilievo dato al ruolo dei sindacati francesi “nell’opera di integrazione degli immigrati italiani”. Il tema dell’organizzazione politica dei migranti e della loro integrazione – non solo politica, ma anche civile e identitaria – e’ stato, invece, affrontato dal prof. De Bernardi dal punto di vista statale e istituzionale. L’autore ha, infine specificato l’intento principale del saggio, vale a dire quello di evidenziare la battaglia politica in Francia non dal punto di vista degli intellettuali migranti parigini, ma dal basso, dalle lotte operaie e contadine della provincia francese. Oggi pomeriggio, invece, sempre alla Biblioteca Ariostea, verrà presentato “Nuovi Salmi”, raccolta di centocinquanta poesie ispirate ai salmi dell’Antico Testamento. Oltre ai curatori Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino, interverranno Gianna Vancini e Emilio Diedo, alla presenza di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara e Comacchio.

Andrea Musacci

Pubblicato su la Nuova Ferrara il 06 giugno 2013