“Avventurosa” ricollocazione dell’Incoronazione della Vergine sul soffitto della Basilica di S. M. in Vado, grazie ai Vigili del Fuoco
Sono dovuti passare 7 lunghi anni perché uno dei capolavori dell’arte ferrarese tornasse a svettare completamente restaurato. Lo scorso 15 maggio, infatti, l’Incoronazione della Vergine dipinta da Carlo Bononi intorno al 1617, è stata ricollocata dalla squadra SAF (Speleo Alpino Fluviale) del Comando dei Vigili del Fuoco di Ferrara nella crociera della Basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara. Il grande quadro di forma circolare, un olio su tela del diametro di 298 cm. e del peso di 48 kg (oltre ai 10 kg di telaio), era stata rimossa nel 2012 a causa del serio rischio di caduta in conseguenza dell’evento sismico. Una volta a terra, non si era che potuto constatarne il pessimo stato di conservazione a causa dell’azione di volatili, topi, insetti e attacchi microbiologici. Da fine 2018, grazie a un Protocollo di intesa sottoscritto da Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, Parrocchia di Santa Maria in Vado, Comando Provinciale dei VVF di Ferrara e CIAS – Centro ricerche Inquinamento fisico chimico microbiologico Ambienti alta Sterilità dell’Ateneo estense, è stato possibile pianificare, progettare nel dettaglio e poi porre in opera, un nuovo sistema di ancoraggio per riposizionare la tela sul soffitto, a 27 metri d’altezza, senza gravare sul solaio della chiesa. La squadra SAF ha dunque ancorato la tela con modalità non invasive, disegnate insieme a esperti del CIAS, trovando una soluzione che permetterà anche di riportarlo rapidamente a terra, nel caso fosse necessario. 2017: al via il restauro Due anni fa il CIAS, con il contributo del Consorzio Futuro in Ricerca, si è reso disponibile a finanziare il restauro pittorico dell’opera – eseguito dal prof. Fabio Bevilacqua -, cogliendo l’occasione di poter sviluppare le proprie ricerche, non invasive, in tutte le fasi di recupero del dipinto. In parallelo si è svolto un programma di Alternanza Scuola Lavoro, in collaborazione con il Liceo Classico Ariosto di Ferrara, dedicato all’approfondimento tecnico e umanistico e alla valorizzazione dei beni culturali. Oltre al restauro, era previsto anche uno studio in laboratorio di innovative tecniche di decontaminazione microbiologica a base di batteri probiotici, già utilizzati per la pulizia di ambienti ospedalieri, sotto la gudia della dott.ssa Elisabetta Caselli. Nello specifico, a fine 2018 si è scoperto come i batteri Bacillus sono in grado di combattere i microrganismi cattivi che rovinano i dipinti antichi, essendo “ghiotti” di alcuni pigmenti usati sulla tela, come la lacca rossa e le terre rosse e gialle. Durante il restauro e le ricerche, l’opera era stata temporaneamente esposta nella navata sinistra del Santuario di Santa Maria in Vado, in un allestimento studiato per la fruizione del pubblico, essendo parte integrante del percorso espositivo della mostra a Palazzo dei Diamanti “Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese” (curata da Giovanni Sassu e Francesca Cappelletti), terminata a gennaio 2018. Gli ultimi sei mesi Dalla Relazione tecnica redatta dal Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Ferrara e dell’arch. Maddalena Coccagna del CIAS, è possibile ripercorrere a grandi linee gli ultimi mesi prima della ricollocazione dell’opera. Lo scorso ottobre sono state eseguite le prime analisi della documentazione e delle criticità, per arrivare a febbraio con il primo sopralluogo dei VVF, e ad aprile per il secondo. Ciò che è emerso è che il telaio ligneo di supporto del quadro, realizzato in occasione degli interventi svolti negli anni ’90 e posto internamente alla cornice del quadro, era fissato alle travi di copertura della Basilica attraverso un sistema di barre filettate, rimosso nel 2012. Essendo state smontate le placchette metalliche di ancoraggio al controtelaio in fase di restauro, e trattandosi di un metodo di fissaggio che non consente una sicura e agevole rimozione dell’opera, si è provveduto a modificare il sistema complessivo di sostegno della tela. Il telaio in legno è stato quindi dotato di punti di presa in acciaio inox, fissati tra loro e a barre preforate, sempre in acciaio inox, per non dover forare la cornice in legno di sostegno, per non dover inserire un’eventuale nuova controstruttura in acciaio, che avrebbe appesantito il tutto, per poter gestire agevolmente, dal sottotetto, il bloccaggio delle zanche di fissaggio ai travetti e alle capriate in legno, e, infine, per creare punti di sollevamento ben distribuiti, che non sbilanciassero la tela nelle fasi di sollevamento, utili al posizionamento del quadro all’interno della cornice posta sul transetto. A metà maggio, le giornate decisive: dal 13 al 15 è stata effettuata la verifica dello stato del film pittorico, la stesura di un nuovo strato protettivo, ed è stato realizzato un attacco sulle travi della capriata sovrastante il centro del transetto. Sono stati poi posizionati i cavi di acciaio nei punti di ancoraggio in acciaio fissati al telaio in legno, e la squadra dei VVF si è posizionata nel sottotetto, in corrispondenza del transetto, dove sono state calate due funi centrali per consentire il sollevamento della tela. Il 16 maggio scorso, sono infine stati chiusi i fori di passaggio dei cavi e pulito e smontato il cantiere: la Vergine Maria raffigurata dall’artista ferrarese, è tornata a vegliare dall’alto sull’intera comunità.
“Corresponsabilità” per restituire edifici e opere alla comunità
I lavori di restauro e ricollocazione del tondo di Bononi sono stati pubblicamente illustrati nella tarda mattinata di lunedì 20 maggio nel chiosto di Santa Maria in Vado. Dopo i saluti del Rettore del Santuario di via Borgovado, don Fabio Ruffini, ha preso la parola il Sindaco Tiziano Tagliani per sottolineare “l’importante collaborazione fra Comune e Regione per l’accesso ai fondi post-sisma” e come “un’intera città in questi anni si sia unita per risolvere problemi e per restituire edifici e opere d’arte”. Tagliani ha inoltre ricordato come “Ferrara, al pari di Carpi, sia la città con la percentuale più alta di domande di ricostruzione accolte e di cantieri avviati”. Don Stefano Zanella, alla guida dell’Ufficio Tecnico-Amministrativo della nostra Arcidiocesi, ha invece ricordato una delle funeste cartoline del sisma del 2012, un’altra immagine mariana vittima della furia sismica: quella grande statua della Madonna che ornava la Basilica, precipitata al suolo schiantandosi sul sagrato, per poi essere ricostruita ed esposta nel chiostro del Santuario. Una piccola parentesi don Zanella l’ha aperta poi per accennare ai lavori all’interno della Cattedrale cittadina. Le notizie non solo delle migliori, in quanto si deve ulteriormente rimandare la riapertura, seppur parziale, dell’edificio. Riapertura inizialmente prevista per il prossimo settembre, ma che dovrà slittare in quanto, nello svolgere le indagini sugli otto pilastri portanti, è emerso come le strutture degli stessi siano tra loro differenti. I lavori stanno comunque riportando alla luce anche bellezze celate: in un pilastro, infatti, è stato trovato il capitello e il pilastro originale medievale. E’ toccato poi al Direttore del CIAS di Unife, Sante Mazzacane, spiegare le ricerche svolte e specificare come queste continuino e continueranno ancora, prima di riflettere su come il lavoro sul tondo del Bononi abbia permesso anche di effettuare alcune migliorìe, come ad esempio quella riguardante la nuova illuminazione a led dell’abside, mentre è prevista anche la pulizia e il restauro del portale dell’edificio. “Questi beni artistici – ha spiegato Mazzacane – sono una prosecuzione del nostro io, del nostro essere”, beni comuni da tutelare e valorizzare, anche trasmettendone la passione ai più giovani. Anche per questo, il CIAS ha coinvolto diversi studenti del Liceo Ariosto, i quali, nel periodo di alternanza scuola-lavoro, sono venuti nei laboratori dell’Ateneo per assistere al lavoro. Dopo la proiezione del video delle varie fasi di ricollocazione, ha quindi preso la parola Pietro Di Risio, Comandante provinciale dei VVF, il quale ha posto l’accento sui due problemi principali che si sono dovuti affrontare: l’accessibilità della struttura, per poter arrivare nel sottotetto, e lo studio del sistema di ancoraggio che risultasse più adatto. La soluzione adottata è stata quindi quella di ancorare l’opera alle travi, quindi alla struttura portante, in modo simile a come si usa per i lampadari.
Andrea Musacci
Pubblicato su “La Voce di Ferrara-Comacchio” del 31 maggio 2019
Un anno fa nasceva la non facile fase di ristrutturazione dell’ex edificio scolastico all’inizio di via Boschetto, zona San Giorgio. Una genesi alquanto travagliata, avvelenata da polemiche utili solo alla propaganda di alcune forze politiche. Ma con tenacia e pazienza, Dino Montanari, Direttore di IBO, e i tanti operatori e volontari, si sono rimboccati le maniche e mese dopo mese hanno ridonato bellezza e agibilità a quella che fino a una ventina di anni fa era la Scuola Banzi, già di per sé dunque luogo di educazione, legalità e accoglienza. Ora “Casa IBO” è ufficialmente un nuovo, pacifico “avamposto” di educazione alla bellezza dell’incontro con l’altro, di costruzione, seppur lenta e mai facile, di relazioni, dal “vicino di casa” poco “dialogante” fino a persone bisognose in ogni angolo del mondo. Da metà aprile scorso, IBO quindi è di fatto operativo nella struttura di via Boschetto, ma solo giovedì 23 maggio scorso si è svolta la cerimonia ufficiale d’inaugurazione. Dopo lo scoprimento della targa all’ingresso, da parte del Presidente IBO Alberto Osti, il taglio del nastro da parte del Sindaco Tiziano Tagliani e la benedizione di don Emanuele Zappaterra, Assistente Spiriturale dell’Associazione, Montanari ha presentato il progetto e lasciato spazio a diversi interventi. A partire proprio da quello dell’ormai ex primo cittadino Tagliani, che ha posto l’accento su questa “scommessa”, per ora vinta, di una nuova sede in una zona differente (la precedente, lo ricordiamo, era in via Montebello). “Oggi inauguriamo – ha spiegato – un centro importante per l’intera città e per sviluppare relazioni in tutto il mondo. Non esistono barriere, siamo qui per sottolineare anche l’importanza della ricchezza culturale, in una città come la nostra aperta a diversi contributi, in un mondo composto da realtà diversificate, a volte contrapposte tra loro: ma proprio per questo è importante imparare le regole della convivenza”. Don Zappaterra ha invece elogiato lo “spirito che accompagna questi giovani e volontari” e “l’importanza di costruire relazioni”. Dopo l’intervento di Alessandra Genesini, Dirigente del Servizio Patrimonio del Comune di Ferrara, ha preso la parola Laura Roncagli, presidente di Agire Sociale: “oggi il termine solidarietà non va di moda, incredibilmente le ONG vengono considerate come qualcosa di negativo”. Anche per questo è importante un luogo come “Casa IBO”, “la cooperazione si concretizza in ogni parte del mondo, anche in situazioni di povertà estrema, grazie a un volontariato formato, giovane, che vuole mettersi in gioco, nel rispetto delle culture e delle tradizioni. Siamo tutti cittadini del mondo – ha concluso -, penso ad esempio a Sofia, volontaria IBO a Panciu”, in Romania. A seguire sono stati ringraziati Giorgia Fregatti, volontaria IBO, alcuni rappresentanti della contrada di San Giorgio, don Onesimo Venansio, in rappresentanza dell’omonima parrocchia, e un pensionato residente su via Comacchio, a pochi passi da Casa IBO. Presenti all’inaugurazione anche una rappresentanza del Comando provinciale dei Carabinieri, della Polizia di Stato, don Paolo Cavallari e diversi assessori e consiglieri comunali. Il Presidente Osti ha preso dunque la parola per sottolineare come ormai “siamo entrati integralmente nel quartiere, i residenti nel tempo hanno imparato ad accoglierci”, prima di citare una frase di don Primo Mazzolari: “è pagano nell’anima chi accetta l’ingiustizia e l’oppressione col segreto proposito di riuscire a mettersi tra i privilegiati e gli oppressori”. Infine, ha preso la parola una vera e propria istituzione di IBO Italia, il suo fondatore ed ex presidente, Padre Angelo Marcandella, che nel 1957 portò anche nel nostro Paese l’esperienza nord europea di Soci Costruttori. “Spero che in questa sede – ha spiegato – si realizzino tante cose belle, iniziative in aiuto ai più deboli, per andare incontro a chiunque ha bisogno, indifferentemente dal colore della pelle o dalla nazionalità”. “Con grande piacere abbiamo visto la rinascita di questo luogo, per noi è un pezzo di cuore”, raccontano, invece, a “la Voce”, Santina e Fiorella, madre e figlia, dal ’63 residenti in via Boschetto nel condominio di fronte all’ex Banzi. “Ci ricordiamo del lungo periodo di degrado in cui versava”, proseguono, “IBO invece rappresenta qualcosa di davvero positvo in ambito sociale. La paura di alcuni residenti della zona – prosegue Fiorella – nasce da pregiudizi e da un clima oggi putroppo dominante. Noi abbiamo parlato con Dino [Montanari, ndr], ci siamo informate sul progetto di Casa IBO. Alcuni nostri vicini hanno cambiato in meglio la propria opinione su questo progetto, altri no. Noi addirittura stiamo pensando di chiedere di poter fare in questa sede le nostre riunioni condominiali”. Entusiasta della nuova sede è anche la volontaria Giorgia Fregatti: “lavoro qui vicino, alla Fitofarmaci San Giorgio, e mia nonna abita poco distante. Il prossimo 24 giugno partirò per un’esperienza di volontariato a Catania”. Rosa, invece, è originaria di Manfredonia, nel Gargano, ed è iscritta a Scienze dell’educazione all’Università di Ferrara. “A fine febbraio scorso – spiega a “la Voce” – ho iniziato il Servizio civile in IBO, dove mi occupo di social media e comunicazione. Era da tempo che volevo fare un’esperienza di volontariato e qui è proprio un bell’ambiente, c’è un clima accogliente”. Infine, Eugenio, fresco di laurea all’Ateneo di Bologna su una tesi dedicata agli interventi educativi per minori, svolge incontri e laboratori nelle scuole medie e superiori della città: anche lui da febbraio svolge il suo anno di Servizio Civile con IBO, per fare esperienza e un giorno poter lavorare in ambito educativo. La mattinata inaugurale si è conclusa con un rinfresco a cura dell’associazione “Lo Specchio”. Il giorno seguente, venerdì 24, nel pomeriggio si è tenuta l’Assemblea Annuale dei Soci di IBO Italia, mentre sabato 25 è stata interamente dedicata all’accoglienza delle numerose persone accorse per visitare la sede e conoscere i volontari. La mattina stessa è stata celebrata la Santa Messa, seguita dal pranzo con i volontari e cooperanti IBO partiti per il Burundi e altri paesi africani dagli anni ’70 agli anni ’90.
Il giusto equilibrio tra l’urgenza di una denuncia e di una sensibilizzazione che sia forte, e, dall’altra parte, la necessità di non creare paralizzanti timori nelle persone, ma di far loro comprendere come la situazione del nostro pianeta è sì molto seria ma non per questo affrontabile e migliorabile. E’ stata questa la linea che i diversi relatori alternatisi la mattina di sabato 25 maggio in Municipio a Ferrara, hanno privilegiato. Nella Sala del Consiglio Comunale si è svolto il Seminario pubblico dal titolo “Cambiamenti climatici e informazione: i ruoli e le azioni possibili di istituzioni, cittadini e media”. L’incontro, moderato dal Responsabile Ufficio Stampa del Comune, Alessandro Zangara, è stato organizzato dall’Ordine Giornalisti e della Fondazione Giornalisti dell’Emilia-Romagna insieme all’Ufficio Stampa stesso e in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e il Museo civico di Storia Naturale di Ferrara. “Il clima, certo, da sempre subisce modificazioni significative, anche nel nostro territorio, ma in questo periodo storico è importante analizzare i co-effetti dell’azione della natura e di quella dell’uomo”, ha esordito Stefano Mazzotti, ricercatore e responsabile del Museo di Storia Naturale locale. “Dagli anni ’80 del secolo scorso l’uomo ha immesso nell’atmosfera molta più CO2 rispetto a prima”. Per questo, gli scienziati dovrebbero “alzare la voce”, farsi sentire di più riguardo a questa vera e propria “crisi climatica, a questa situazione davvero drammatica, descritta come tale da innumerevoli riviste scientifiche almeno dal 2015. Sempre più frequenti e acute saranno situazioni come quelle vissute nel nostro Paese di bruschi cali di temperatura in stagioni primaverili, o, al contrario, com’è accaduto a inizio maggio, di temperature di 30° in Siberia e di 15° in Groenlandia. Fino al 2050 è previsto a livello globale un aumento di 2°, ma potrebbero essere anche di più”, ha proseguito Mazzotti. “E’ già in atto l’estinzione di diverse specie animali (insetti, anfibi, piccoli mammiferi e coleotteri, ad esempio), con tutte le ulteriori conseguenze di ciò sull’ecosistema. Risulta poi che l’estinzione di alcune speci di vertebrati sia 114 volte più veloce rispetto al passato. L’Homo Sapiens – ha concluso – è paragonabile a un meteorite sul pianeta terra per quello che sta scatenando”. Alessandro Bratti, direttore generale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), ha scelto, invece, di porre maggiormente l’accento sui cambiamenti positivi da parte di cittadini e istituzioni nell’affrontare il problema. “L’Unione Europea – ha spiegato – si è posta l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti di almeno il 20% entro il 2020 e di almeno il 40% entro il 2030 (per l’Italia del 33%, in quanto varia da Paese a Paese), rispetto al 1990. Nel 2017 la temperatura media in Italia risultava maggiore di 1,30° (+1,20° a livello globale), mentre dal 1981 l’aumento era di 0,36°”. Due, però, sono i dati positivi: “nel nostro Paese nel primo trimestre del 2019 si registra una diminuzione di emissioni di gas serra pari allo 0,4%, grazie soprattutto al decremento dei consumi di gas a livello domestico e dei trasporti, e nonostante il lieve aumento del PIL (+0,1%). Inoltre, nella nostra penisola è in aumento la quota di energia da fonti rinnovabili (dati 2016-’17). Gli effetti positivi di tutto ciò, è normale, si vedranno a distanza di anni, di decenni”. Gli ultimi due interventi della mattinata si sono concentrati sul ruolo fondamentale dell’informazione e della comunicazione. Elena Stramentinoli, redattrice della RAI, già inviata del programma d’inchiesta “Presa Diretta”, ha spiegato com’è “molto bassa la percentuale di notizie sui media riguardanti l’ambiente, e di queste una buona parte riguardano il meteo, o la cronaca”. Di solito, poi, l’informazione tratta questa tematica usando “toni catastrofici, allarmistici, calcando molto sull’emotività, mentre sarebbe importante apporofondire, spiegare meglio i vari nessi causa-effetto, non giocando sulle reazioni di angoscia e di sconforto dei cittadini” che non fanno comprendere come il tema sia complesso, la situazione grave, ma affrontabile e risolvibile. Per questo sarebbe utile proporre esempi e azioni positive, concrete, e, non meno importante, “supportate scientificamente”. Infine, l’ultimo intervento è spettato a Sergio Gessi, giornalista e docente del corso di “Etica della comunicazione” all’Università di Ferrara, il quale, fra le varie riflessioni, ha ragionato sull’importanza di avere nelle redazioni dei giornali esperti di tematiche ambientali.
“Come vivi senza colpevolezza se hai consapevolezza?”: così recitava uno dei tanti cartelli issati da alcuni giovani studenti ferraresi la mattina di venerdì 24 maggio per il secondo “Sciopero globale per il clima”. Circa 200 ragazze e ragazzi – molte meno rispetto al primo Sciopero, a metà marzo, ma non meno “agguerriti” – sono scesi lungo le strade della nostra città per la seconda mobilitazione di “Fridays for future” volta a sensibilizzare sull’emergenza climatica, sulle cause che l’hanno provocata e sulle possibili soluzioni. Il corteo è partito da piazza Castello diretto al parco Giordano Bruno, passando per Largo Castello, corso Giovecca, via Palestro, Porta Mare, corso Ercole I d’Este, pedonale dalla Casa del Boia, viale Belvedere, corso Porta Po, via Cittadella, attraversamento viale Cavour, corso Isonzo e via Poledrelli.
Può l’informalità strutturare un’azione costante nel tempo, senza scadere nello spontaneismo? E può l’orizzontalità diventare principio basilare, senza che ne risentano la concretezza e l’efficienza? Sono alcune delle sfide raccolte dalla neonata Rete che a Ferrara, grazie all’appello di un gruppo di cittadini, intende sviluppare un coordinamento tra le esperienze civiche locali nate negli ultimi anni. Il tutto con il supporto fondamentale dell’Urban Center comunale. Già pronta la “Carta dei principi, finalità e funzionamento”, unico strumento necessario data l’informalità del soggetto. Soggetto che è stato presentato pubblicamente lo scorso 13 maggio nella sede dell’ex Mof di corso Isonzo da Chiara Porretta e Ilenia Crema dell’Urban Center, da alcuni anni attivissime – insieme all’Assessorato con delega alla Rigenerazione Urbana, guidato da Roberta Fusari – nel promuovere e coordinare esperienze locali di cittadinanza attiva, mutuale e dal basso. Sono dodici i membri del nodo operativo di questa Rete nata formalmente lo scorso 29 novembre e sul cui nome gli stessi aderenti – che possono essere singoli (attualmente una cinquantina) e gruppi/associazioni (per ora una ventina) – hanno già avanzato diverse proposte. Gli albori del progetto è, però, giusto farli risalire al 2011 quando l’Amministrazione dà vita a “èFerrara Urban Center”, al quale sono seguite una 70ina di iniziative e proposte sparse in tutto il territorio comunale, tra cui “Un tavolo lungo un parco”, “Insieme per il Quartiere Giardino”, “Gas K”, “Condominio solidale”, “Ricostruiamo l’Aquilone”, “Ferrara mia”, “Web Radio Giardino”, “Officina dei saperi”. Altra tappa importante è stata, nel 2016, la redazione della Carta dei Beni Comuni, manifesto di principi e azioni prioritarie condiviso dalle comunità di pratiche coinvolte nel progetto Urban Center. Il 13 maggio sono state presentate, attraverso interviste video o testimonianze dal vivo, cinque delle pratiche virtuose nate negli anni: la festa di strada su via Zemola (illustrata da Paola Giatti), ripetuta quest’anno il 19 maggio; il “ParcoLibro” a S. Bartolomeo in Bosco, spiegato da Stefano Padovani; il percorso partecipato nato intorno alla Scuola elementare “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona per la riqualificazione del giardino della struttura, presentato da Paola Onorati; “Krasnopark” (illustrato da Silvia Ridolfi), e infine il progetto di cura e valorizzazione di un parchetto pubblico in zona via Comacchio (a cura di Massimo). A seguire, sono intervenuti tre studenti della Facoltà di Economia del nostro Ateneo, membri del “Comitato Piazzale Circolare” che sta organizzando il primo festival di Green Economy nella nostra città – la “Giornata dell’economia circolare” – in programma il prossimo 27 giugno alla Factory Grisù di via Poledrelli, con stand, workshop e conferenze. Ma il progetto dell’Urban Center e della Rete crescono anche alla sinergia con realtà simili presente in altre città, in modo particolare con il “Forum Civism Beni Comuni”, presentato nell’incontro pubblico da una delle portavoci, Annalisa Pecoriello. Il progetto “Civism” nasce nel 2015 per promuovere nuove forme di benessere collettivo attraverso la condivisione tra persone che vivono in situazione di prossimità (condomini, quartieri ecc.). Da qui è poi nato il “Forum”, sempre partendo dal principio dell’importanza – per creare nuove relazioni fra cittadini e con le istituzioni – della condivisione di oggetti, luoghi, tempi e competenze. Negli anni si sono perciò sviluppate e interconnesse comunità urbane e rurali, esperienze di microcredito, Gruppi di Acquisto Solidali, mercati contadini, Open Source, progetti di inclusione dei migranti e molto altro. In alcuni casi delicati (si pensi allo stabile Spin Time a Roma, v. articolo a fianco), “preferiamo parlare – ha spiegato la Pecoriello – di presidio e custodia di beni comuni, non di occupazione. Si tratta cioè di riappropriarsi di luoghi abbandonati dalle istituzioni, non facendone un uso esclusivo ma di tutti e per tutti”. Un esempio è Mondeggi Bene Comune di Bagno a Ripoli (Firenze), comunità attiva per l’autodeterminazione alimentare attraverso l’agroecologia e la libera condivisione dei saperi, e ispirata ai principi di autogestione, cooperazione e mutualismo. Uno dei tanti esempi concreti di superamento della dicotomia pubblico-privato, nella continua tensione verso quella “terza via” rappresentata appunto dal concetto di “bene comune”. Ciò che emerge da questa multiforme progettualità condivisa – a Ferrara come a Firenze e in tanti altri luoghi del nostro Paese – è che la città da luogo nel quale vivere sostanzialmente come ospiti, passando dalla lamentela alla passività, diventa un corpo in continua trasformazione. Una trasformazione inevitabilmente collettiva, partecipata, dal basso, che cambia in positivo non solo il volto del tessuto urbano, ma le sue stesse infrastrutture relazionali, ridefinendo il concetto di partecipazione e di cittadinanza.
Chi, passeggiando in una delle vie del centro storico di Ferrara, non ha mai notato, seppur distrattamente, un’immagine mariana su un muro, vegliare dall’alto? A questa silenziosa ma affascinante presenza anche nella nostra città è dedicato il volume, in uscita i primi di giugno, dal titolo “Per le vie di Ferrara. Edicole devozionali mariane e simboli religiosi” di Daniela Fratti (Faust Edizioni, collana ‘Centomeraviglie’), che ha il patrocinio dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, dell’Associazione De Humanitate Sanctae Annae e del Soroptimist International (Club di Ferrara). Il saggio verrà presentato martedì 11 giugno alle ore 17 nella Sala Agnelli della Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, alla presenza dell’autrice, di Diane Yvonne Ghirardo (University of Southern California) e di Giovanni Lamborghini (Archivista della nostra Arcidiocesi). Trent’anni fa vennero censite 137 immagini mariane in tutto il territorio cittadino, entro e fuori le mura, mentre per questo volume l’autrice ha scelto di rimanere all’interno, individuandone 84 (nella foto in alto: via Porta San Pietro, 59, Madonna con bambino; a dx: via Saraceno, 7-9, Madonna con Bambino). Di particolare interesse sono i risvolti sociali e di rapporti di genere rappresentati dalla scelta nei secoli – dal Seicento perlopiù, ma anche successivamente -, di dislocare queste immagini in diversi punti della città. “Le immagini sacre della Madonna a Ferrara […] – scrive la Ghirardo nella prefazione- rimangono punti di riferimento, simboli della sacralizzazione delle vie, degli incroci e degli edifici di una città della Val Padana”. L’autrice individua in queste edicole dedicate alla B. V. Maria, “spazi particolari del femminile e cioè luoghi che offrivano accoglienza a un genere tenuto ai margini della società”. Le donne, dunque, “potevano nei quartieri, in presenza di edicole sacre, assentarsi da casa per periodi brevi, proprio per rendere omaggio alla Madonna”, sfuggendo a quella sottomissione e segregazione subita per secoli. Una marginalizzazione riguardante ad esempio la “separazione delle donne nella navata destra delle chiese grazie a un telo disteso, dall’altare all’entrata, per renderle invisibili agli sguardi maschili”, o nelle processioni dove alle donne era imposto di procedere “separate dagli uomini”. L’autrice analizza inoltre “i confini che le donne in gravidanza erano tenute a rispettare fino a parto avvenuto, per poi indicare gli altri luoghi della geografia femminile nella Ferrara moderna”. Inoltre – prosegue la Ghirardo – “le donne rimaste vedove potevano ritirarsi in convento oppure, già nel Quattrocento, nelle case delle vedove ancora visibili in via Mortara. Infine, le donne meno fortunate e costrette a darsi alla prostituzione si raccoglievano, fin dai primi anni del Cinquecento, in una zona compresa tra Via delle Volte e Palazzo del Paradiso. Quando invece l’anzianità non permetteva più di svolgere alcuna attività – sono ancora sue parole – c’era la possibilità di entrare nel monastero delle Convertite vicino a Piazza Ariostea, consegnando tutti i propri beni e ricevendo in cambio un luogo dove dormire e mangiare. Alle donne non era nemmeno permesso di andare a fare gli acquisti; questo compito toccava ai mariti, ai cortigiani, o ai garzoni con istruzioni precise su quello che dovevano procurare, compresi, in particolare, i tessuti con i quali poi le stesse donne avrebbero cucito, o fatto cucire, i vestiti per sé e le loro famiglie. Solo le donne venute dalle campagne a Ferrara per vendere i loro prodotti agricoli al mercato e le lavandaie percorrevano le strade della città, anche se solo brevemente. Le altre donne che si fossero avventurate per le vie di Ferrara – nel Quattrocento e successivamente – nella migliore delle ipotesi rischiavano di essere bersagliate con feci di cavallo, anche in faccia. […] I rischi aumentavano quando una donna si trovava da sola nei campi, ad esempio per pascolare il bestiame o svolgere altre attività campestri. In questi casi si rendeva vulnerabile al rapimento e allo stupro”. Un aspetto surreale è, poi, che “qualunque violenza contro l’immagine riceveva una punizione severa, e cioè la morte. Per le donne invece – sono ancora parole della Ghirardo – , allora come adesso, le sanzioni contro chi le percuoteva, le rapiva o perfino le uccideva, erano minori, semmai fossero previste. Sia la chiesa che le consuetudini sociali e gli statuti locali permettevano infatti ai mariti e ai padri di percuotere le femmine nel caso fosse stato ‘necessario’ per esercitare il dovuto controllo sulle donne”.
Senada Sejdovic e Imed Omerovic, entrambi 40enni, sono una coppia rom di origini bosniache, arrivati in Italia nel 1992 quando in Bosnia c’era la guerra. Hanno 12 figli, dai 2 ai 21 anni, il più grande non vive con loro perché si é sposato da poco, e sia lui che il secondogenito sono cittadini italiani, avendo ottenuto la cittadinanza appena diventati maggiorenni perché nati, come i restanti 10 fratelli, nel nostro Paese. Imer lavora al mercatino dell’usato, insieme al figlio 20enne Clinton, nel quartiere Boccea, alla periferia di Roma. I bambini più piccoli vanno tutti a scuola, tranne l’ultimo nato, di due anni. Dopo aver vissuto prima al campo di Tor de Cenci, poi, negli ultimi sette anni a La Barbuta, avendo fatto regolare domanda per avere un alloggio popolare, lunedì 6 maggio si sono recati in via Satta, a Casal Bruciato, per prendere possesso dell’appartamento a loro assegnato. Ma non avevano previsto che alcuni residenti del condominio (parte a sua volta di un comprensorio), aizzati da gruppi di estrema destra, avrebbero fatto di tutto per impedirglielo. Dopo giorni di insulti e minacce a loro e ai bambini (che hanno avuto crisi di panico e febbre per lo choc), sono riusciti a entrare, scortati dalla polizia. “Abbiamo deciso di restare e vorremmo organizzare anche una festa nel cortile. Perdoniamo tutti”, hanno dichiarato al Messaggero, poco prima di incontrare, il 9 maggio, il Santo Padre. Immagini raccapriccianti, che richiamano periodi bui anche della nostra storia nazionale. Mercoledì 8 maggio a Ferrara è intervenuto – per un incontro programmato già da diversi mesi – Carlo Stasolla, Presidente dell’Associazione 21 luglio di Roma, onlus nata nel 2010 per aiutare gruppi e individui in condizione di segregazione estrema e di discriminazione. Tra gli enti sostenitori, la 21 luglio ha anche la Fondazione Migrantes della CEI. L’occasione è stato il terzo dei quarti incontri del ciclo “Le città in-visibili. Immaginari, territori, pratiche”, dal titolo “I campi rom in Italia tra segregazione e discriminazione”, organizzato dal Laboratorio di Studi Urbani del Corso di Sociologia urbana e del territorio di UniFe, diretto dal prof. Alfredo Alietti. A “La Voce”, Stasolla ha rilasciato alcune dichiarazioni. Innanzitutto, ha spiegato come la Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti 2012-2020 redatta dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, “abbia avuto purtroppo un impatto minimo, quasi nullo, in quanto non vincolante per i Comuni e per le pochissime risorse di cui dispone l’Ufficio”. Li chiediamo anche delle minacce ricevute nel 2014 da un boss rom, Sartana Halilovic, in un incontro pubblico nella sala consiliare del VII Municipio di Roma, in occsione della presentazione del dossier “Campo Nomadi Spa”. “Avvenne – ci racconta – sei mesi prima dell’inizio dell’inchiesta Mafia capitale, la causa fu una ricerca compiuta dalla nostra Associazione sulla criminalità organizzata nei campi rom, quindi una parte dell’inchiesta. Per due anni ho dovuto vivere sotto protezione”. Fra le storie positive di riscatto da parte di ex abitanti di campi nomadi, Stasolla ci racconta di un ragazzo e di una donna che ora “non solo vivono in una casa, ma lavorano per la stessa Associazione 21 luglio”.
“Prima, quando salvavamo vite, eravamo chiamati ‘angeli’. Poi siamo diventati ‘criminali’, ‘scafisti’, ‘amici dei terroristi’ ”. Con questa punta d’amarezza Cecilia Strada ha concluso il proprio intervento a Ferrara. Il 6 maggio scorso, nel tardo pomeriggio, presso lo Spazio Grisù in via Poledrelli, 21, si è svolto un incontro pubblico organizzato dal Gad – Gruppo Anti Discriminazioni con lei, ex presidente di Emergency, a rappresentare la piattaforma “Mediterranea”, e Claudia Vago di Finanza Etica, la Fondazione di Banca Etica, per parlare proprio del progetto “Mediterranea Saving Humans”. L’incontro, moderato da Marco Zavagli, direttore di Estense.com, ha visto, a seguire, presso l’attigua Hangar Birrerie, una cena di finanziamento del progetto. La serata, con più di 100 persone presenti, ha permesso di raccogliere oltre 650 euro. Quella pronunciata da Cecilia Strada è stata l’ennesima, ma sempre necessaria, denuncia di ciò che avviene nel Mar Mediterraneo, utile a spiegare il perché esiste “Mediterranea”: “la criminalizzazione delle ong che compivano salvataggi – ha spiegato – ha portato al fatto che le loro navi non presidiassero più il mare. Risultato: gli arrivi dalla Libia continuano (non si sono fermati come qualcuno ha detto, ndr) e le persone muoiono in mare perché non c’è più nessuno che le soccorre. Gli sbarchi, certo, sono diminuiti. Ma il tragico motivo è proprio questo. 1 persona su 10 muore cercando di attraversare il mare, prima era 1 su 40”, ha poi spiegato. Negli stessi giorni su Twitter Charlie Yaxley, portavoce dell’Unhcr per l’Africa e il Mediterraneo, ha fornito cifre ancora più tragiche: “nel 2019, una persona ogni tre ha perso la vita nel tentativo di arrivare in Europa lungo la rotta dalla Libia”, ha scritto. “Mediterranea – sono ancora sue parole – nasce quindi per cercare di soccorrere queste persone e, quando non riesce, perlomeno di denunciarne la loro scomparsa, che non avviene per disastri naturali inevitabili. Sempre nuove realtà continuano ad aggiungersi alla nostra piattaforma”, sempre più collaboratori e testimoni di chi racconta gli orrori subiti in prima persona, da famigliari, amici, “persone, ad esempio, che ci hanno spiegato come 2, 3, o 4 volte hanno tentato di attraversare il mare per arrivare in Europa, ogni volta catturate, riportate in Libia e torturate”. “Siamo disobbedienti, perché pensiamo che disobbedire sia giusto quando si va contro leggi ingiuste, si tratta di disobbedienza alla criminalizzazione delle ONG, di chi scappa da guerre e violenze. Al tempo stesso è un’obbedienza alla Convenzione di Amburgo (sulla ricerca e il salvataggio marittimo siglata nel 1979, entrata in vigore nel 1985, ndr), ai Trattati internazionali, alla Costituzione italiana: la nostra è la nave dei super-obbedienti, di un’obbedienza morale”. Un pensiero Cecilia Strada l’ha dedicato anche a don Mattia Ferrari (da noi intervistato su “la Voce” del 10 maggio scorso), sacerdote modenese salito per alcuni giorni sulla nave “Mar Jonio” di “Mediterranea”: “con lui condivido l’idea che la Chiesa debba stare tra gli ultimi. Stiamo andando nella stessa direzione – atei, agnostici e cattolici, o persone di diversa ispirazione politica -, perciò facciamo un pezzo di strada assieme. A bordo, tra l’altro, c’è anche il figlio del Ministro Tria”.
“La nostra Fondazione si occupa delle ricadute non economiche di operazioni economiche, quindi delle ricadute sociali, di uguaglianza, rispetto dei diritti umani, contro il razzismo e le diverse forme di esclusione, contro la produzione e vendita di armi, il gioco d’azzardo e molto altro”. Così ha iniziato invece il proprio intervento Claudia Vago. “La Banca legata alla nostra Fondazione ha finanziato con un fido di 465mila euro il progetto Mediterranea, tramite ‘Ya Basta’ di Bologna”. ’Mediterranea’ da tempo ha attivato un crowfunding (raccolta fondi) con un obiettivo di 700mila euro, praticamente raggiunto. “Ora, certo, servono altri finanziamenti per far andare avanti il progetto. Con Banca Etica stiamo discutendo per un altro fido. Forse Mediterranea in futuro si trasformerà in Fondazione o assumerà comunque un’altra forma”. Di sicuro, c’è sempre bisogno che Mediterranea venga supportata: lo scorso 10 maggio ha salvato 30 naufraghi, prima di arrivare a Lampedusa, dove il giorno dopo è stata sequestrata dalla Guardia di Finanza.
E’ un libro “storico”, per “nostalgici”, ma anche per bambini e adolescenti, un volume un po’ libro, un po’ giornale, fra racconto e fumetto, che chiunque sappia ancora divertirsi di gusto, può apprezzare. Si intitola “La calzetta dello sport: Scortichino contro Mìlion” il volume realizzato dal ferrarese Giovanni Calza e da Andrea Princivalli, creativo a tutto tondo originario del trevigiano. Calza, scrittore e compositore, lo scorso 14 dicembre ha ricevuto il primo premio nella sezione “Musica” per il concorso nazionale “Salva la tua lingua locale”, riconoscimento assegnatogli in Campidoglio a Roma. Dopo aver scritto libri per bambini e diversi in dialetto e sulla “ferraresità” (tra cui “Maiàl…!: bio-dizionario essenziale del dialetto ferrarese” e “T’arcordat? Parole ambienti espressioni di una civiltà. Primo dizionario illustrato di dialetto ferrarese”), nel 2014 ha deciso di raccontare la sua terra, col suo vernacolo, in musica. Il fumetto “La calzetta dello sport” – strutturato come un vero e proprio giornale sportivo, a volte con le pagine divise in colonne -, si immagina una sfida tanto “epica” quanto surreale, una spassosissima partita di calcio fra la compagine dello Scortichino e il Mìlion, che sarebbe quel fantastico Milan guidato da Arrigo Sacchi, che nei primi anni ’90 aveva ben pochi concorrenti. Il libro, edito da Albatros Il Filo e distribuito dalle Messaggerie Libri, è stato presentato lo scorso 12 maggio alla Fiera del Libro di Torino. Prossimamente verrà presentato anche nelle kermesse letterarie di Milano, Roma e Francoforte. “Nato circa vent’anni fa – spiega Calza a “la Voce” -, mi è stato fortemente ispirato dal programma televisivo ‘Mai dire gol’, mi divertiva molto sentire il modo con cui raccontavano il calcio. Ho fantasticato sulla squadra più forte di quegli anni, il Milan di Sacchi, che ammiravo molto, nonostante sia da sempre juventino. Ricordo Maldini, Baresi, i tre olandesi…allora il nome ‘Milan’ l’ho trasformato, prima in ‘milioni’, poi in ‘Mìlion’ ”. Storpiando nomi esistenti o inventandoli di sana pianta, ogni giocatore, allenatore, persino l’arbitro, così come anche i luoghi, assumono un’aria giocosa, surreale, assurda e ironica, ricordando i fumetti di Topolino. Al centro del libro di Calza e Princivalli, vi è la disputa della finale di “Coppa dei calcioni”, con un pubblico – giocandosi in Islanda – composto interamente da rappresentanti della fauna locale, come foche o renne. “Scortichino, poi – ci spiega ancora – è un nome che di per sè fa sorridere”, da qui nasce l’idea di usare il nome “Scortichino Scarpon Club”, composto da “personaggi stranissimi e bizzarri”, come i nomi delle tattiche di gioco, “del pesce in barile, o del nido d’ape”, solo per citarne due. L’amicizia con Princivalli, invece, “nasce nei primi anni ’90 quando ancora insegnavo vicino a Treviso, e lui era studente all’ultimo anno del Liceo artistico”. Ora, invece, è un creativo affermato: dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ha realizzato numerosi video d’animazione sperimentali e videoclip, brevi spot per l’Unicef, per Fabbrica e per Mtv Usa, e suoi brevi jingle compaiono nella trasmissione “DoReCiakGulp” del noto giornalista Vincenzo Mollica. Collabora inoltre con la Kinder Ferrero per l’invenzione di personaggi e storie per gli “ovetti”. “La calzetta dello sport” ha anche un intento più “profondo”, se così si può dire: “è un libro alternativo”, ci spiega ancora Calza. “È una lettura scopiettante, piena di frizzi, giocosa, ma che al tempo stesso cerca di tracciare una nuova pista, volendo cioè sfatare il mito del gioco calcio, troppo spesso accompagnato da frustrazione, tristezza, odio ed eccessiva competizione. In questo libro si gioca al gioco del calcio, vogliamo riportare il calcio alla sua fanciullezza”. Parte del ricavato dalla vendita del libro sarà destinato alla realizzazione e al sostegno dei laboratori solidali di scrittura LetterariaMente.