
Da sinistra, Mustafa Sabbagh, Claudio Gualandi, Linda Mazzoni, Maria Livia Brunelli e Massimo Maisto
Si può definire storica l’esposizione presentata ieri alle 18 nelle auguste sale della Palazzina Marfisa d’Este in c.so Giovecca, 170.
“Il manichino e i suoi paesaggi. Una storia (quasi) metafisica”, curata da Linda Mazzoni, Claudio Gualandi e Maria Livia Brunelli, è infatti la prima mostra in Italia dedicata alla storia del manichino. Il progetto espositivo riprende il lungo lavoro di ricerca compiuto dai curatori e sfociato, l’anno scorso, nella pubblicazione del libro “Il manichino e i suoi paesaggi” (Editoriale Sometti, Mantova).
La mostra, organizzata per il centenario della nascita, nella nostra città, della Metafisica, è ideata insieme all’esposizione a Palazzo dei Diamanti, “De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie”. L’universo del padre della pittura metafisica è straniante e perturbante, avvolto in un’atmosfera carica di oniricità. E così, le oltre quaranta creazioni esposte a Marfisa inquietano per il loro sembrare, al tempo stesso, umane e inumane, reali e artificiose.
Basti pensare ad alcune opere di de Chirico nelle quali appaiono manichini: “La nostalgia del poeta” (1914), “Il viaggio senza fine” (1914), “Il vaticinatore” (1915), “Le muse inquietanti” (1917). Qui, come a Marfisa, i manichini sono simbolo di impotenza, alienazione, oppure di un incanto antico che richiama una bellezza scomparsa, o che non sappiamo più riconoscere.
Oltre alla parte storica, che va dalla moda alla religione, dalla scienza alla pubblicità, passando per l’arte, nell’arco di tre secoli (dal XVIII al XX), vi è anche una sezione contemporanea con installazioni di Mustafa Sabbagh, Milena Altini e Jolanda Spagno. Anche qui, in maniera più cosciente e disperata, dominano soggetti informi e incompleti, bozzoli e ologrammi senza storia e identità.
Andrea Musacci
Pubblicato su la Nuova Ferrara il 12 novembre 2015